II° INCONTRO DI STUDI Castro Marina, Lecce (Italy) - 14-16 September 2001
ANDOLINA Filippo*, CIMINO Antonio*, ORECCHIO Santino** & SAMBATARO Santina*
Il presente lavoro intende fare il punto sulla situazione di degrado qualitativo delle acque sotterranee in alcuni settori dell'area metropolitana di Palermo. Negli ultimi anni sono state in effetti eseguite numerose determinazioni sui costituenti chimici caratterizzanti le risorse idriche dell'area, nell'ambito di specifici progetti miranti alla definizione del rischio idrogeologico all'inquinamento. Sono stati in particolare oggetto di indagine settori costieri dove l'affioramento di unità carbonatiche fortemente permeabili per fessurazione e carsismo ha condizionato sia il regime delle acque sotterranee nelle piane alluvionali, sia la loro qualità. Questo è accaduto in particolare per la piana di Carini e per la porzione settentrionale della piana di Palermo (piana dei Colli).
I numerosi dati territoriali affluiti nei database informatizzati sono stati sottoposti a successive elaborazioni, consentendo un raffronto sia spaziale sia temporale tra aree con differenti caratteristiche composizionali delle acque. Questo ha suggerito sia la pianificazione di interventi di recupero di intere porzioni già sottoposte ad un pesante inquinamento organico ed inorganico, sia una utilizzazione differenziata delle acque di falda, anche "non convenzionale", in settori parzialmente o completamente abbandonati sotto l'aspetto dello sfruttamento idrico.
Dopo un'ampia disamina sui rapporti tra risorse idriche disponibili ed esigenze nei territori in discorso, rapporti che condizionano la qualità delle stesse acque destinate a scopi potabili, saranno dapprima trattati quegli aspetti legati alla determinazione della vulnerabilità all'inquinamento, che da anni peraltro costituiscono la base della relativa cartografia che copre più aree della fascia costiera. Successivamente si descriveranno le fasi di raccolta ed elaborazione dei dati idrogeochimici, che hanno visto una loro rappresentazione cartografica che ha tenuto conto della più recente legislazione in materia, così pervenendo in tempi successivi a diverse mappe della qualità delle acque sotterranee per la Piana di Palermo, nonché per le limitrofe piane di Carini e di Bagheria.
La recente disponibilità di dati sulla distribuzione dei centri di potenziale contaminazione delle falde nell'ambito dalla realizzazione di cartografie di pericolo territoriale e di esposizione al pericolo di inquinamento completa, per una parte dell'area investigata (piana di Palermo) il quadro delle conoscenze miranti alla definizione del rischio idrogeologico. La relazione tra la vulnerabilità degli acquiferi all'inquinamento e le aree storicamente vulnerate sarà infine posta in evidenza, confermando come la stretta relazione tra le cartografie presentate porti un concreto contributo alla definizione del rischio idrogeologico all'inquinamento, elemento finale di un avanzato percorso metodologico ed applicativo che ha ricevuto in varie parti d'Italia numerose applicazioni.
TIZIANA DI LORENZO, PAOLA DE LAURENTIIS, DIANA M. P. GALASSI
Attualmente le sorgenti sono punti focali della ricerca in campo ambientale, data l'importanza crescente della tutela delle acque sotterranee, fonte primaria di approvvigionamento idrico. Il decreto legislativo sulla tutela delle acque (D.L. 152/99) impone che, relativamente alle acque sotterranee, venga svolto un monitoraggio delle stesse articolato in una fase conoscitiva e in una fase di monitoraggio a regime, rispettivamente concernenti l'individuazione di aree critiche, potenzialmente soggette a crisi e naturalmente protette e un'analisi del comportamento e delle modificazioni nel tempo degli acquiferi. Il Dipartimento di Scienze Ambientali dell'Università de l'Aquila ha realizzato uno studio interdisciplinare volto alla determinazione del grado di isolamento di sorgenti carsiche captate per uso potabile e della loro integrità ecologica. Tale approccio si basa sull'individuazione di opportuni parametri chimico-fisici e microbiologici, nonché biologici ed ecologici che fungano da indicatori delle condizioni sopra citate. Nello specifico, si è tenuto conto dell'uso del suolo adiacente alla captazione, della litogeologia della roccia-serbatoio, della profondità di scorrimento del circuito idrico terminale, del tempo di dimezzamento della portata massima annua e dell'andamento del regime idrico, nonché della presenza di coliformi e streptococchi fecali e della composizione della fauna sotterranea nelle tre categorie ecologiche (stigobionti, stigofili e stigosseni). L'indagine è stata condotta su tre sorgenti carsiche basali dell'Appennino Centrale integrando le conoscenze tipologiche ambientali con i dati biologici mediante approccio taxocenotico (Crustacea: Copepoda) al fine di valutare i rapporti tra le diverse categorie ecologiche, che a loro volta forniscono le informazioni più puntuali sul grado di isolamento del sistema acquifero. I copepodi stigosseni sono stati utilizzati quali markers della presenza, densità e dimensione di vie preferenziali di infiltrazione rapida che costituiscono la principale fonte di rischio di acquiferi carsici. E' stato inoltre condotto un monitoraggio taxocenotico annuale al fine di valutare il mantenimento delle condizioni di integrità ecologica nello spazio e nel tempo ed eventuali fenomeni di resilienza. I risultati ottenuti attribuiscono maggiore potere informativo all'approccio biologico, che è in grado di rivelare la presenza di zone epicarsiche ad alta vulnerabilità non altrimenti individuabili attraverso l'esame dei parametri chimico-fisici e microbiologici.
PAOLA D'AMBROSIO, BARBARA FIASCA, DIANA M. P. GALASSI
A partire dall'inizio del secolo, le sorgenti hanno acquistato un'importanza notevole, conseguente alle crescenti esigenze di mantenimento della loro integrità ecologica in quanto costituiscono la fonte primaria, se non esclusiva, di approvvigionamento idrico. Il monitoraggio chimico e microbiologico delle sorgenti fornisce una stima di integrità e naturalità relative al solo momento del prelievo in quanto la diluizione ed il dilavamento degli inquinanti non consentono la memorizzazione da parte del sistema idrico degli eventuali eventi di disturbo. La microfauna invertebratologica che vive stabilmente nelle acque di falda può invece fornire una stima di qualità dell'acqua su più vasta scala, sia spaziale che temporale, nonché previsioni di vulnerabilità dell'acquifero indagato. La ricerca condotta ha per oggetto l'individuazione dei parametri ambientali che, in situazioni naturali, più direttamente influenzano la distribuzione delle specie animali. A tale scopo sono stati indagati i sistemi sorgivi di Capo d'Acqua Tirino e di Presciano, entrambi appartenenti all'unità idrogeologica del massiccio del Gran Sasso. La netta supremazia della componente copepodologica (Crustacea: Copepoda) nei due sistemi indagati ha consentito un approccio taxocenotico allo studio della biodiversità in sostituzione dell'approccio biocenotico nel suo complesso, permettendo identificazioni a livello specifico allo scopo di aumentare la congruenza delle correlazioni osservate tra variabili biologiche ed ambientali. Lo studio è stato condotto sia nel dominio fine-scale che meso-scale. Per descrivere la simultaneità dei dati e per cercare di estrarre da essi il massimo dell'informazione, sono stati utilizzati metodi statistici monovariati e multivariati (analisi delle distribuzioni delle variabili, andamenti delle variabili nell'arco dell'anno, coefficienti di correlazione, t-test, F-test, cluster analysis, PCA e PLS). Dai risultati ottenuti si evince che l'ultimo tratto della circolazione idrica dei due sistemi sorgivi è piuttosto superficiale e che la sorgente di Presciano mostra una maggiore eterogeneità strutturale rispetto a Capo d'Acqua, giustificandone peraltro la maggiore diversità taxocenotica, sia in termini di ricchezza in specie che di "dispersione tassonomica della diversità". Tra le variabili ambientali esaminate, la percentuale di sedimento nei siti e la concentrazione di POM (Particulate Organic Matter) sono prevailing factors nel descrivere la distribuzione spazio-temporale delle taxocenosi a Copepoda nei sistemi indagati.
MARIA TERESA CARROZZO1, MARCO DELLE ROSE2,3, ANTONIO FEDERICO2, GIOVANNI LEUCCI1, VITTORIO MARRAS3, SERGIO NEGRI1, LUIGIA NUZZO1
La piana costiera compresa tra S. Isidoro e Porto Selvaggio (Nardò, prov. di Lecce), formata da depositi carbonatici del Cretacico e del Pleistocene, è sede di un sistema carsico attivo. Essa è caratterizzata da varie morfologie carsiche, tra cui numerose doline di crollo, denominate "spunnulate", che talora raggiungono ragguardevole estensione per coalescenza di più doline.
I fenomeni di dissoluzione chimica accelerata dei depositi carbonatici, all'origine di fenomeni speleogenetici preparatori degli eventi di sprofondamento, assumono notevole rilevanza territoriale, dal momento che le condizioni che li predispongono sono presenti anche in altri tratti delle piane costiere salentine. Di tali processi, oltre all'incidenza nell'evoluzione del paesaggio litorale e delle linee di costa, va considerata anche la pericolosità ambientale, avendo essi interessato nel recente passato varie infrastrutture viarie e abitative.
Per una più esaustiva descrizione del sistema carsico molto utili possono risultare le indagini elettromagnetiche con georadar; nel caso specifico tali indagini hanno consentito di mettere in luce cavità carsiche non individuabili sulla base delle evidenze di superficie. In particolare, le indagini geofisiche hanno prodotto i risultati più significativi al di fuori delle zone paludose dove minore è la presenza di materiale conduttivo (terre rosse, depositi palustri e acqua di falda salmastra), maggiore è lo spessore dell'areato e, pertanto, minore è l'assorbimento dell'energia elettromagnetica da parte del mezzo e più alto è il rapporto segnale-rumore.
Franco Cucchi e Luca Zini
La compiuta conoscenza di un'area carsica e della sua carsificazione è problema che si può risolvere solamente con studi politematici ed interdisciplinari: la via per quantificare l'entità e la tipologia delle risorse contenute nei massicci carsificati, per definire la loro vulnerabilità e le condizioni ottimali di utilizzo passa per lo studio delle caratteristiche della carsificazione e del carsismo epi ed ipogeo con il concorso di numerosi specialisti di estrazione culturale differente per l'acquisizione e l'elaborazione dei numerosi dati necessari all'elaborazione dei modelli idrogeologici.
Il Carso classico è, proprio per la sua "classicità" l'area in cui più la sinergia fra gruppi di ricerca potrebbe dare frutti interessanti. Il Carso triestino ormai da anni è studiato dai ricercatori triestini che hanno raccolto una serie notevole di dati grazie anche al posizionamento, nelle grotte più profonde dell'altopiano, di numerosi strumenti in grado di misurare in continuo il livello della falda e le caratteristiche chimico-fisiche delle acque della falda e di percolazione ed all'analisi geomorfologica delle principali cavità.
Allo scopo di definire la vulnerabilità e la potenzialità delle riserve idriche contenute nel Carso Classico, si è attivata una rete di monitoraggio in continuo per conoscere nel dettaglio l'idrodinamica del fiume Timavo ipogeo. I valori vengono assunti da strumenti appositamente costruiti e memorizzati in data logger, dai quali vengono prelevati ogni 4-6 mesi. Sono in funzione, alcune da quasi 5 anni, stazioni di monitoraggio nelle Grotte di San Canziano (Slovenia) a 350 metri dall'ingresso di conducibilità e temperatura acque e aria, e a 1 km dall'ingresso di altezza dell'acqua (sensore 0-30m); nell'Abisso di Trebiciano (Italia) nel sifone di uscita della Caverna Lindner di conducibilità, temperatura e altezza acque (due sensori, 0-10m e 0-30m); nella Grotta Lazzaro Jerko (Italia) nel lago della Caverna Medeot di conducibilità, temperatura e altezza acque (due sensori, 0-10m e 0-30m); nella Grotta Lindner (Italia) nel ramo basso di altezza acque (sensore 0-10m); 5) Pozzo dei Colombi (Italia) di altezza acque (un sensore 0-10m); nel I e III Ramo delle Risorgive del Timavo (Italia) di conducibilità, temperatura e altezza acque (sensore 0-1m); nel Lago di Pietrarossa (Italia) di altezza acque (sensore 0-1m); nel Lago di Doberdò (Italia), nell'inghiottitoio SE di altezza acque (sensore 0-1m). Vengono raccolti inoltre i dati di portata del fiume Isonzo a Gorizia, del fiume Timavo presso le risorgive, del fiume Vipava prima della confluenza con il fiume Isonzo, del fiume Reka a Gornje Vreme e informatizzati, quando a disposizione, i dati climatici.
Si è iniziata la fase di studio, analizzando tutti gli eventi di piena verificatisi nell'arco degli anni 1995-2000, in totale quasi un centinaio. Per ogni singola piena e ogni sito monitorato sono stati estratti i tempi di inizio-picco-fine piena, nonché le altezze raggiunte dalle acque e la velocità di crescita e diminuzione della piena. E' stata individuata l'esistenza di almeno tre tipologie di piene alle Foci, legate di volta in volta alla presenza o meno del contributo dei diversi dreni che alimentano il sistema sorgivo del Timavo. Varie prove con traccianti infatti hanno già messo in luce il collegamento delle foci sia con le acque del Timavo superiore (Reka) e di Trebiciano (provenienti quindi da SW), sia con le acque del bacino Isonzo-Vipacco (provenienti quindi da N e NW). Alle Foci del Timavo la conducibilità durante le piene ha marcato la fuoriuscita di acque di riserva dell'acquifero, spesso evidenziando durante un'unica fase di piena l'esistenza di arrivi differenziati di acque.
L'analisi dell'andamento di temperatura e conducibilità durante le piene è stata particolarmente significativa per il tratto S. Canziano-Trebiciano-Lazzaro Jerko ed ha messo in luce l'esistenza di un dreno diretto tra queste cavità. L'uso di questi parametri come traccianti naturali ha inoltre permesso di calcolare la velocità di deflusso nel tratto Trebiciano-Lazzaro Jerko.
L'Abisso di Trebiciano e la Grotta Meravigliosa di Lazzaro Jerko sono le due uniche cavità del Carso classico triestino che raggiungono tratti di corsi d'acqua facenti parte del reticolo ipogeo del Timavo e risultano finestre ottimali per lo studio dell'idrologia ipogea del Timavo. Nelle due cavità l'inizio delle piene è simultaneo, le variazioni nel tempo di temperatura e conducibilità sono contemporanee ed hanno andamento pressoché identico: le due cavità sono collegate al medesimo circuito idraulico e sono in pratica due torri piezometriche lungo il percorso ipogeo in pressione. Il sistema drenante risponde immediatamente alle precipitazioni esterne, è soggetto ad una circolazione veloce e ad un rinnovo consistente delle acque nella fase di piena, anche se è sicura la presenza di acque di riserva a probabile circolazione più profonda rispetto alle prime acque di piena che vengono mobilizzate dagli impulsi di piena più forti. Le variazioni di altezza delle acque si trasmettono molto velocemente e le acque impiegano almeno 4 ore per percorrere i 3.250 metri che separano le cavità in linea d'aria.
Queste due cavità consistono in una serie di pozzi di limitate dimensioni che danno adito a vaste ed estese gallerie orizzontali. Non solo le gallerie ma anche decine di metri di tratto verticale sono scavati in rocce dolomitiche, notoriamente poco solubili rispetto a quelle francamente calcaree.
Questo fatto porta a ridisegnare le teorie che vogliono nel potente complesso dolomitico il livello di base litologico delle acque ipogee nel tratto fra l'inghiottitoio di San Canziano e le cavità in Italia, Abisso di Trebiciano e Grotta Meravigliosa di Lazzaro Jerko. Divenute non più valide le teorie sulla carsificazione epigea ed ipogea di Maucci (1970), D'Ambrosi (1971) e Marussi (1975), smentite dai dati raccolti negli ultimi decenni risulta anche limitativa quella di Habic (1984) che vede in superficie quasi solo l'opera delle vicissitudini tettoniche e geodinamiche.
I dati geologici, geomorfologici ed idrogeologici sul Carso classico ed in particolare sul Carso triestino che stanno venendo alla luce, portano quindi a dover rivisitare alcune "certezze": se il condizionamento litologico in superficie è importante, sicuramente anche più di quello strutturale, pur essenziale, in profondità è quasi solamente il sistema di discontinuità, con le sue famiglie di piani a diversa conducibilità idraulica, a guidare l'impostazione della rete di deflusso. Acquista quindi valore, anche nel Carso Classico, il Four-fase Model proposto da Ford e Williams (1987) dello sviluppo del carsismo ipogeo nella fase iniziale di proto-cavità secondo una "casualità guidata" dall'assetto strutturale e litologico. Legato alla penetrazione delle acque in pressione lungo i piani, o le intersezioni di piani, più continui ed aperti. Condizionato dalla geometria spaziale delle discontinuità, dalla loro locale conducibilità idraulica sotto pressione, dall'effetto attrazione del sistema sorgentifero, dalla miriade di punti di assorbimento a diversa portata, si è sviluppato, nell'arco di alcune decine di milioni di anni all'interno della piattaforma del Carso un reticolo carsico ben gerarchizzato, diffuso tanto arealmente quanto in verticale, oggi in grado di far defluire in tempi rapidi le acque di infiltrazione. Tanto la zona vadosa quanto quella satura sono potenti e vaste, la zona di oscillazione ha estensione e potenza variabile da posto a posto in funzione della situazione geologica e della carsificazione locali.
Si vuole evidenziare come le tipiche morfologie superficiali del Carso Triestino, possono essere l'espressione delle diverse condizioni tettoniche, litologiche e stratigrafiche che si sono venute ad instaurare e che queste condizioni sono con buona probabilità nell'ordine quelle che maggiormente se non unicamente, hanno influito sulle attuali espressioni morfologiche e hanno condizionato la carsificazione epigea.
Quella ipogea vede invece nel quadro geologico strutturale il principale elemento morfogenetico, con direzioni di deflusso, guidate dalla geometria e dalla permeabilità delle superfici di discontinuità, secondo linee equipotenziali disposte in funzione del carico idrodinamico, cioè dei punti di ingresso e di uscita delle acque dal sistema. Il reticolo di cavità più o meno allargate dalla dissoluzione e più o meno gerarchizzato nel tempo è l'espressione dell'interazione fra assetto strutturale, evoluzione geodinamica, variazioni climatiche, assetto litostratigrafico.
Nel caso del Carso classico, decisamente un carso evoluto ed in fase di maturità, viste in particolare le modifiche alle forme ipogee primarie derivate da crolli e speleotemi e quelle alle forme superficiali per dissoluzione, inquadrare l'idrologia del Timavo ipogeo non è possibile senza aver definito al meglio l'entità e la geometria della carsificazione all'interno della compagine rocciosa che contiene il reticolo carsico. Si tratta di elementi la cui quantificazione e comprensione dipende essenzialmente dalla compiuta conoscenza delle caratteristiche geologiche, litologiche, strutturali, geodinamiche, ecc., e geomorfologiche, tanto epigee che ipogee, doline, cavità, depositi di riempimento, ecc
Mauro Mucedda 1, Marcello Vadacca 2, Nini Ciccarese 3
Nell' estate 2001 sono state effettuate delle ricerche in alcune
grotte costiere del Salento sud-orientale, allo scopo di verificare
l'esistenza di colonie di pipistrelli e identificare le specie presenti.
I comuni interessati dalla ricerca sono, da nord a sud, Otranto,
Castro, Tricase, Gagliano del Capo. Le grotte esplorate sono cinque e in
tre di esse è stata riscontrata la presenza di pipistrelli, appartenenti
complessivamente a 5 specie diverse.
Le indagini sono state effettuate mediante osservazione diretta
degli animali in situ, coadiuvati dall'uso di un Bat detector Pettersson
D980 in modalità Eterodine ed Espansione Temporale. Non è stata effettuata
alcuna cattura di animali.
Parise M.(1,2), Pascali V. (3) & Savino G. (2)
Gli ambienti carsici presentano una elevata vulnerabilità all'inquinamento, e sono per questo motivo generalmente interessati da molteplici e gravi problemi di degrado. Le caratteristiche geologiche (rocce carbonatiche fratturate), morfologiche (presenza di sistemi di cavità prodotte dal carsismo), ed idrogeologiche (flusso concentrato e rapido attraverso fratture e condotti carsici), favoriscono gravemente il movimento di contaminanti verso le falde. In particolare, la scarsa qualità delle acque sotterranee può derivare da sostanze inquinanti che scorrano in superficie e successivamente si infiltrino nel sottosuolo, e/o da immissione diretta in falda di rifiuti liquidi e solidi attraverso la rete di condotti carsici e di fratture nell'ammasso roccioso. Di conseguenza, la qualità delle risorse idriche può risultare fortemente compromessa, il che impica costi economici e sociali molto alti per il risanamento ed il ripristino della situazione pre-esistente l'evento inquinante.
Il presente contributo intende illustrare, per mezzo di tre significativi casi di studio, l'elevata vulnerabilità di un territorio prevalentemente costituito da rocce carbonatiche carsificate quale è quello della Regione Puglia. Saranno descritti a tale scopo due casi di inquinamento di cavità naturali a seguito dell'immissione al loro interno di rifiuti solidi (Grave di S. Leonardo sul Promontorio del Gargano, e Grave di Monte Pelosello sulle Murge), nonchè l'alto livello di degrado della Gravina di Monsignore, una tipica valle carsica ricadente nel territorio di Conversano, nelle Murge Basse.
In due casi su tre, l'azione degli speleologi è stata fondamentale per la scoperta dei siti inquinati, la relativa denuncia alle autorità competenti, e l'impegno profuso (almeno in un caso) per la pulizia e la successiva salvaguardia della cavità.
Gli esempi illustrati ben si prestano a evidenziare la scarsa sensibilità, troppo spesso mostrata sul nostro territorio regionale, di popolazioni locali ed amministratori nella gestione dei territori carsici, che per le su citate caratteristiche risultano particolarmente sensibili ad eventi inquinanti, ed a dissennate alterazioni e modifiche che intervengano sul delicato equilibrio dell'ambiente carsico.
Lazzari S.* Lazzari M.** De Santis A.***
In questa nota vengono illustrati i risultati di una ricerca realizzata nell'entroterra e lungo la fascia costiera che interessa il territorio ed il centro urbano di Castro (Lecce), dove le particolari configurazioni geologiche, tettoniche e geomorfologiche, congiunte all'antropizzazione talora intensiva, hanno causato alcuni episodi di pericolosità e di rischio geomorfologico ed ambientale, rinvenibili anche in altre aree carsiche urbanizzate del Mediterraneo.
L'abitato di Castro, ubicato sul margine meridionale della costa salentina su un caratteristico promontorio calcareo, è conosciuto ed apprezzato per il pregevole patrimonio paesistico, ambientale, storico e monumentale. Esso si sviluppa in parte sulla dorsale collinare ed in parte sui bordi di un piccolo bacino imbrifero, denominato "Canalone", che lo attraversa per tutta la sua estensione fino alla costa.
Numerosi ed importanti episodi carsici esistenti sia nell'entroterra, sia lungo la costa, inducono da un lato delle emergenze naturalistico - ambientali di notevole interesse quali ad esempio la grotta Zinzulusa e la grotta Romanelli, dall'altro rischi diffusi da ricollegarsi a possibili fenomeni di inquinamento diretto e indiretto, a manifestazioni di dissesto idrogeologico anche lungo la costa e ad episodi di degrado del patrimonio edilizio e monumentale.
Questi fenomeni possono deteriorare alcune rilevanti parti del territorio e limitare la bellezza e la fruibilità del patrimonio paesistico, monumentale e marino.
La ricerca è stata sviluppata sia mediante uno studio geologico, geomorfologico e meteo - climatico del territorio, realizzato anche con analisi di immagini telerilevate, sia attraverso una verifica della vulnerabilità e del degrado monumentale e paesistico - ambientale di questo centro urbano.
Dalla sovrapposizione dei diversi livelli informativi è stato possibile realizzare un modello di valutazione dei rischi esteso anche alla fascia costiera, che ha consentito di elaborare una carta dei rischi geomorfologici.
Queste informazioni hanno consentito di individuare e localizzare gli interventi diretti ed indiretti capaci di ridurre il livello di rischio e di recuperare le configurazioni naturali ed antropiche danneggiate o fortemente minacciate dal progressivo e talora incontrollato degrado strutturale ed ambientale.
Sulle foval della grotta Zinzulusa (Castro Marina, Lecce)
Michele M. Camassa
Le foval della grotta Zinzulusa (Castro Marina, Lecce) si presentano particolarmente abbondanti, morfologicamente molto variabili e a diffusione pressoché totale. In questa ricerca vengono esaminate le caratteristiche morfòlogiche delle foval e la loro composizione. L'analisi microscopica e colturale delle foval ha evidenziato una significativa componente organica in cui prevalgono le forme viventi, in particolare batteri, miceti e nematodi, confermando l'importante ruolo che esse svolgono a livello del trofismo cavernicolo.
Vincenzo Pascali ; S. Inguscio; E. Rossi.
Si relaziona sull'evoluzione delle caratteristiche ambientali della Grava delle Rose, interessante cavità naturale in Valle D'Itria. La grotta, al momento dell'esplorazione, si è rivelata fortemente inquinata, tanto che i primi esploratori hanno tutti accusato disturbi fisici e soprattutto respiratori. Per continuare le ricerche, sono state utilizzate attrezzature atte a garantire l'incolumità degli speleologi.
A distanza di alcuni anni dalle prime esplorazioni, si sono riscontrate delle variazioni chimico-fisiche, delle quali trattiamo in questa relazione.
Si completa la relazione con delle osservazioni biologiche.
Si relaziona sull'evoluzione delle caratteristiche ambientali della Grava delle Rose, interessante cavità naturale in Valle D'Itria. La grotta, al momento dell'esplorazione, si è rivelata fortemente inquinata, tanto che i primi esploratori hanno tutti accusato disturbi fisici e soprattutto respiratori. Per continuare le ricerche, sono state utilizzate attrezzature atte a garantire l'incolumità degli speleologi.
A distanza di alcuni anni dalle prime esplorazioni, si sono riscontrate delle variazioni chimico-fisiche, delle quali trattiamo in questa relazione.
Si completa la relazione con delle osservazioni biologiche.
Gruppo Speleologico Martinese ONLUS
Gli autori espongono i risultati di una campagna di ricerche iniziata nel 1999, effettuata in grotte e pozzi pugliesi. In particolare si riferiscono le nuove e più ampie distribuzioni di alcuni stigobionti e si mettono in discussione ipotesi idrogeologiche, ormai consolidate, sulla colonizzazione del dominio ipogeo regionale. Si dà notizia inoltre della scoperta di una nuova entità ipogea.
I DEPOSITI PLEISTOCENICI DELLA GROTTA DEI FIORI (SARDEGNA SUD-OCCIDENTALE): ANALISI FAUNISTICA E PALEOCLIMATICA
MELIS R., PALOMBO MR., BEDETTI C., PAVIA M.
la Grotta dei Fiori è una cavità carsica sviluppata nei calcari paleozoici. All'interno sono presenti depositi a avifauna e mammalofauna.
L'analisi dei sedimenti e della fauna ha consentito di evidenziare le variazioni climatiche durante il Pleistocene superiore.
Antonio Giangreco*, Roberto Salvati**, Paolo Sansò***, Gianluca Selleri****
Le doline di crollo (cave-collapse sinkholes) sono forme carsiche epigee molto frequenti sul territorio salentino, in particolare in corrispondenza delle aree di affioramento delle calcareniti pleistoceniche note col nome formazionale di Calcareniti del Salento. Il 13 marzo 1996, in località "Spedicaturo", in una ristretta area adiacente la SP 127, si è verificato un fenomeno di subsidenza che ha messo in evidenza la presenza di una cavità profonda 19m e larga 20m. Nell'area erano già presenti due ampie doline di crollo connesse ad una importante complesso carsico attivo che riceve le acque di un reticolo endoreico il cui bacino è esteso 15,56 Kmq. Nell'area è stato condotto un rilevamento geologico e geomorfologico di dettaglio per comprendere la dinamica evolutiva recente del sistema carsico e per definire i rapporti esistenti con la idrografia superficiale.
Gianluigi Lazzari - Sotirios Bekakos
Questo lavoro ( confronta anche "Note di Storia e Cultura Salentina", Società di Storia Patria per la Puglia, X-XI, Lecce, Argo, 1998-99) è importante sia per la paziente ricostruzione storico-scientifica attivata, sia per il nobile tentativo di restituire la storia e l'ambiente ai propri valori culturali.
Il Perotti all'inizio del XX secolo aveva supposto nei suoi "Appunti di Storia Castrense" che il nome Zinzulusa non indicasse la grotta né che la denominazione del posto derivasse dalle numerose stalattiti appese alla volta della stessa; esso doveva, piuttosto, essere "Zinzinusa", così come pronunciato nella parlata popolare. In effetti, ancora oggi, a Castro il termine "Zinzinusa" sta ad indicare non solo la grotta, ma tutta l'area che attorno ad essa gravita.
Su tutto il luogo doveva nel passato abitare sia la pianta di leccio (lizza nel dialetto locale), sia la pianta di giuggiolo, di cui sono rimaste delle deboli tracce. Quest'albero è tipico del Salento (Cifa, Cifara, Scisciula), dell'Arabia (Zufaizaf), del Portogallo (Açofeifa), della Spagna (Azufaifa) e della Grecia (Zizifies o Zinzifies). Inoltre, secondo ultime importantissime testimonianze è proprio anche della regione veneta dove viene indicato come Zinzolo o Zinzula.
Zinzulo, Zinzulu o Zinzinu (cioè giuggiolo) è in fine lo stesso che Zinzolo.
Inoltre il toponimo Zinzinusa è attestato anche fuori dal feudo di Castro, sulla strada che un tempo collegava la città con il pagus di Nociglia. In prossimità di questo abitato vi era il "Casino Zinzolosa", Zinzinusa nella parlata dialettale, distrutto in parte negli anni 1975/76 per interventi di edilizia economica e popolare. I terreni che circuivano questo agglomerato, indicati come Zinzinusa, registrano ancora la caratteristica presenza del giuggiolo.
E. BUGLI * , N. CICCARESE **, N. LENA COTA ***, C. PICCIOLI ****
Grotta Romanelli - Castro (Lecce) si apre lungo il lembo di costa più orientale d'Italia (lat. 40°40'47" N , Long 18°25'59,4" E ) ed è individuata nel catasto delle grotte Pugliesi al N° 106 .
All'interno della piccola cavità, P.E. Stasi, negli ultimi anni del 1800, individuò depositi paleontologici ed abbondanti strumenti litici attribuiti, per i livelli più antichi, al paleolitico superiore.
Successivamente fu scoperta, sulle pareti interne della grotta, un' articolata serie di graffiti, descritti da C.A. Blanc, P.Graziosi, M.O.Acanfora ed altri.
Grotta Romanelli si apre, con una ampia bocca a cuspide, verso il mare ed i venti provenienti da levante.
L'esposizione, le caratteristiche litiche, ambientali e le condizioni meteomarine della zona, contribuiscono a determinare il clima interno di Romanelli caratterizzato dal proliferare, sulle pareti, di biologie aggressive ed infestanti.
Ampi brandelli di una breccia di versante schermano solo parzialmente i depositi interni.
Nel presente studio si propone l' analisi degli agenti aggressivi presenti sulle pareti interne, finalizzata alla conservazione del materiale lapideo di supporto e, quindi, dei graffiti stessi.
Zorzin Roberto (*), Santi Giuseppe (**), Rosa Mario (**)
La "Grotta del Cerè" è uno dei giacimenti quaternari di vertebrati fossili più importanti del veronese. Infatti, la cavità ha restituito un gran numero di reperti costituenti un'associazione faunistica assai ricca e rappresentativa di più momenti del Pleistocene.
La grotta, nota anche come "Tana delll'orso" o "La Tanasela", ha uno sviluppo spaziale di 12 m e si apre circa 150 m ad est di Ceredo ( S. Anna d'Alfaedo", ad una quota di 750 m s.l.m. . L'ingresso si trova in prossimità dell'evidente rottura di pendio che caratterizza il versante destro del Vajo dei Falconi.
In questo lavoro vengono presentati dati inediti inerenti gli elementi faunistici maggiormente rappresentativi, sia per numero di reperti conservati, sia per completezza degli stessi.
Sono esposti i dati morfometrici rilevati sugli abbondanti resti cranici e mandibolari di Ursus, Canis lupus e Marmotta marmotta. Questi dati. Inoltre , sono messi a confronto con quelli relativi a popolazioni di giacimenti italiani ed europri.
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