II° INCONTRO DI STUDI Castro Marina, Lecce (Italy) - 14-16 September 2001
Roberto Zorzin (*), Aurora Allegrezza (**)
Vengono esposti i risultati di una indagine sulla qualità degli acquiferi, prevalentemente carsici, di un'ampia porzione centromeridianale dei Monti Lessini Veronesi.
Lo studio è stato realizzato nell'ambito di una collaborazione tra il Museo Civico di Storia Naturale di Verona, che dal 1997 sta effettuando una serie di indagini idrogeologiche sulle principali sorgenti dell'altopiano veronese, e l'IPSIA "E. FERMI" di Verona.
Nell'arco di 5 mesi (autunno-inverno 2000 ed inverno-primavera 2001) sono stati prelevati 77 campioni da 17 sorgenti distribuite a varie quote. Su ogni campione sono state eseguite analisi chimiche e microbiotiche che hanno permesso di valutare la qualità delle acque oggetto di studio. Inoltre, ad ogni prelievo, sono stati registrati i principali parametri fisici. In tutti i campioni è stata rilevata la presenza, anche massiccia, di coliformi fecali, mentre i valori dei parametri chimico-fisici rientrano, per lo più, nei limiti stabiliti per le acque potabili.
Salvatore Portaluri & Paolo Sansò*
Il Salento è caratterizzato da piogge medie annue di circa 700 mm. Le preecipitazioni risultano concentrate nei mesi autunnali, raggiungendo valori massimi nel settore sud-orientale della Penisola, mentre quelli minimi si rilevano nei settori occidentali e centro-settentrionali.
Nonostante le non trascurabili precipitazioni metoriche, il Salento mostra un'idrografia poco sviluppata per la diffusa presenza di rocce permeabili per fratturazione e carsismo e per la debole inclinazione delle superfici. Le acque di ruscellamento, infatti, dopo breve percorso si infiltrano rapidamente nel sottosuolo in corrispondenza di inghiottitoi carsici.
Il settore sud-orientale del Salento, in particolare, appare caratterizzato dalla presenza di numerose depressioni la cui genesi può essere ricondotta a processi tettonici e carsici. Le depressioni si sviluppano sulle unità mioceniche e plio-pleistocene, appaiono allungate in direzioni NO-SE e mostrano il fondo ricoperto da depositi colluviali argilloso-sabbiosi, che talvolta mascherano e in parte ostruiscono i principali punti assorbenti.
Molti centri abitati sono sorti sul fondo di queste depressioni per la facile reperibilità di acqua a piccola profondità e per le condizioni favorevoli allo sfruttamento agrario. Purtroppo il fondo delle depressioni viene episodicamente interessato da fenomeni alluvionali in concomitanza di eventi meteorici intensi, come durante il nubifragio del 6-7 ottobre del 1957 che provocò l'alluvionamento di 12 centri abitati del Salento sud-orientale.
Nonostante le opere di sistemazione idraulica costruite negli ultimi 50 anni la situazione appare peggiorata. L'urbanizzazione di superfici sempre più estese ha determinato il notevole aumento del volume delle acque di ruscellamento e sconvolto le naturali direzioni di deflusso producendo una maggiore estensione delle aree soggette al rischio di alluvionamento.
ROSARIO ABBATE
In Sicilia la diffusione di ampi affioramenti carsificabili ed il discreto sviluppo in essi di morfologie epigee ed ipogee, sia propriamente carsiche (calcari) che paracarsiche (gessi e salgemma) e pseudocarsiche (lave basaltiche), ha incoraggiato l'attività esplorativa e l'intensificarsi di studi a carattere prevalentemente morfologico, speleologico, idrologico e archeologico.
Allo stato attuale delle conoscenze risultano investigate e studiate alcune centinaia di cavità localizzate in prevalenza nei rilievi carbonatici della Sicilia Occidentale e dell'Altopiano Ibleo, negli affioramenti evaporitici della Sicilia Centro-meridionale e nel vulcano etneo.
Dopo una breve premessa geologica e climatologica, l'Autore, descrive le caratteristiche morfologiche, pedologiche, biologiche e idrogeologiche delle aree carsiche siciliane e pone l'accento, inoltre, sulle problematiche relative alla loro conservazione e ad un loro uso razionale.
E. Centenaro*, G. Mastronuzzi** & G. Selleri***
Il perimetro del salento leccese è segnato da tipi morfologici costieri differenti modellati essenzialmente su litotipi carbonatici. In particolare fra Otranto e Santa Maria al Bagno, l'affioramento di unità Mesozoiche e Cenozoiche carbonatiche ha determinato le condizioni ideali per la formazione di cavità ipogee, tanto di origine carsica, tanto dovute all'azione del moto ondoso, tanto agli effetti combinati della soluzione e dell'azione meccanica. Esse sono oggi distribuite in una ampia fascia a cavallo del livello del mare tanto in ambiente subaereo, quanto in ambiente sottomarino.
Le particolari condizioni della fascia costiera in questione hanno permesso la registrazione su di essa nel corso del Pleistocene medio e superiore degli effetti delle fasi di stazionamento relativo del livello del mare in funzione delle variazioni glacioeustatiche, combinati con i movimenti tettonici del Salento (Mastronuzzi & Sansò, 1991; Centenaro et al., 1998). Le cavità ipogee rappresentano i siti in cui queste, associate alle testimonianze delle variazioni prodotte in ambiente continentale meglio si sono conservate. Nuovi dati di cronologia assoluta U/Th e C14, ottenuti dalle analisi condotte su speleotemi e su riempimenti delle cavità, permettono di meglio comprendere la successione delle fasi morfogenetiche manifestatesi nel Salento leccese.
Metodo di analisi
L'area costiera studiata è segnata dalla presenza di numerose cavità ipogee caratterizzate da sviluppo planimetrico compreso dai pochi metri al chilometro. Alcune cavità sono rese accessibili al pubblico e contribuiscono ai bilanci dell'economia locale; altre sono chiuse al pubblico in attesa del compimento di studi scientifici che ne assicurino principalmente la conservazione, nella speranza di una valorizzazione turistica. La maggior parte di esse, comunque, ha estensione limitata ed è nota al mondo scientifico per la presenza di depositi del Pleistocene medio e superiore e dell'Olocene, importanti per le ricostruzioni paleogeografiche e paleoclimatiche (Dantoni & Onorato, 1995 Centenaro et al., 1998). Bassa o nulla è attualmente la potenzialità turistica di tali cavità, fatta eccezione di quelle ubicate in aree ad elevato valore paesistico; coinvolgenti sussidi potrebbero però permetterne l'inserimento in percorsi scientifici ad elevato contenuto didattico.
In accordo con Wimbledon et alii (1995) la filosofia che ha regolato la scelta delle cavità ipogee è stata quella di realizzare un elenco in cui leggere le varie tappe dell'evoluzione geologica e morfologica dell'area. La base di valutazione per l'attribuzione del valore, in funzione del quale per la nostra legislazione è possibile porre sotto tutela il bene geologico, è basata su elementi suggeriti, per citare solo alcuni Autori, da Wimbledon (1990), Gonggrijp (1992), Panizza (1992):
- importanza del dato scientifico; - rarità dello stesso; - caratteristiche di conservazione;
- caratteristiche di rappresentatività; - valore storico-geologico; - valore culturale;
- valore educativo-didattico; - valore scenico; - valore socio-economico.
Lo studio ha condotto per ognuna delle cavità ritenute più significative, in totale 47, alla definizione di schede sintetiche in cui oltre che alla posizione geografica, al rilievo, alla bibliografia conosciuta, a una o più immagine dei luoghi, è indicata la descrizione della cavità e le particolari emergenze scientifiche (Fig. 1). Per forza di cose è stato necessario trascurare le cavità poco estese a meno che non fossero particolarmente significative quali sede di affioramenti chiave per l'interpretazione dell'evoluzione del paesaggio.
Per ognuna delle cavità si è definito un valore in funzione della valenza scientifica - geologica s.l. ed archeologica -, ecologica e del potenziale turistico. In particolare si è fatta distinzione fra la possibilità di fruizione turistica anche per le cavità di elevato interesse archeologico - come la Grotta Romanelli e la Grotta dei Cervi, precauzionalmente chiuse al pubblico ma di enorme potenziale attrattivo - oppure, poiché ad ingresso subacqueo (Onorato et al., 1999), accessibili solo ad un limitato numero di turisti specializzati quali la Grotta delle Corvine, o la Grotta dell'Ora (Tab. 1).
Ultimo e conclusivo passo è stato quello di definire la valenza complessiva delle aree costiere con maggiore concentrazione di cavità ipogee. Questo passo ha permesso di identificare quattro aree emerse e sottomarine di particolare interesse speleologico da proporre per una particolare salvaguardia e valorizzazione (Fig. 2).
Conlusioni
La redazione di un elenco dettagliato del patrimonio ipogeo porta necessariamente all'individuazione di siti di elevata valenza. Essi, utilizzando un termine di derivazione anglosassone - ma ancora, composita, greco-latina -, sono indicati come geositi (Poli, 1999). Il termine geosito serve ad indicare un "sito di interesse geologico". Il suo significato è stato definito tanto dalla European Association for the Conservation of the Geological Heritage (PROGEO) quanto nell'ambito del gruppo di lavoro che sta elaborando la struttura generale del progetto internazionale Geosites della International Union of Geological Sciences (IUGS). Un geosito è un'area o una località che rappresenta in modo esemplare eventi geologico - geomorfologici a scala regionale; attraverso esso si può ricostruire la storia di ampie regioni del territorio o addirittura del globo. In quest'ottica gli aspetti e gli elementi delle cavità ipogee, come quelli di ogni elemento del paesaggio geologico s.l., rappresentano risorse in quanto sono o diventano utili all'uomo a seconda delle circostanze economiche, sociali o tecnologiche. Il bene geologico è risorsa dove questo è inteso come "…bene non riproducibile su cui orientare azioni equilibrate…" più che come "…eredità da consumare…" (Vendittelli, 1996).
Ad ogni cavità ipogea è stato attribuito un valore che permette ad essi di entrare nel novero dei beni quali beni naturali. L'attribuzione di un valore non dipende però solo dalla valenza scenica di un certo elemento del paesaggio; quest'ultima è istintiva, e può variare nel tempo condizionata dal variare dei valori della società. Il valore di una cavità è un valore multiplo perché pluridisciplinare, conseguente al valore che ad ognuna delle componenti scientifiche viene attribuita. L'esigenza di conservare un bene paesistico-culturale non deve quindi essere in conflitto con la necessità che quel bene possa continuare a giocare un ruolo attivo tanto nell'equilibrio dell'ecosistema, quanto nell'economia della regione. Anzi esso deve assumere potere trainante nell'economia regionale e nell'educazione ambientale se sapientemente e compiutamente valorizzato e reso pubblico.
L'intervento conseguente al censimento qui presentato suggerisce una serie di azioni: il coinvolgimento di tecnici di altre competenze per definire l'eventuale valore pluridisciplinare dei siti individuati; l'inserimento dell'attività di conservazione dei siti ipogei in un sistema legislativo; la ricostruzione la rivalutazione dell'ambiente naturale in cui sono quei siti; l'inserimento dei siti in percorsi scientifico-culturali pluridisciplinari; l'educazione e la sensibilizzazione del pubblico alla storia geologia e alla dinamica del paesaggio fisico; un piano gestionale - economico e culturale - per la fruizione delle aree riconosciute ad alta valenza. Questa è posta in ultimo solo in un elenco di azioni strategiche; da sola essa rappresenta quella determinante e trainante tutte le altre.
Bibliografia essenziale
Centenaro E., Mastronuzzi G. & Sanso' P. (1998). Morfologia della fascia Costiera fra Otranto e Castro (Puglia, Italia).79° Congresso Società Geologica Italiana, Palermo, Italia, 21-24/9/1998.
Dantoni G. & Onorato R. (1995) L'acqua scolpi un cielo di pietra. Portoselvaggio: Preistoria e speleologia. Gruppo Speleologico Neretino, Conte Editore, Lecce, 130 pp.
Gonggrijp G.P. (1992). Nature, policy plan, new developments in the Netherlands. Utredning, NINA, 41, Oslo, 5-16.
Mastronuzzi G. & Sanso' P. (1991). Cenni sul paesaggio carsico della penisola salentina. Atti International Conference "Environmental Changes in Karst Areas", 23/27 september 1991, Itinerari Speleologici, 5, 73-86.
Onorato R., Denitto F. & Belmonte G. (1999) Le grotte marine del Salento: classificazione localizzazione e descrizione. Thalassia Salentina, 23, 67-116
Panizza M. (1992). Sulla valutazione dei beni ambientali. Mem. Descr. Carta Geol. d'It., XLII, 479-484.
Poli G. (eds) (1999). Geositi. Testimoni del tempo. Fondamenti per la conservazione del patrimonio geologico. Regione Emilia Romagna, 260 pp.
Vendittelli M. (1996). I Geotopi. Relazione introduttiva. II Simposio Internazionale sulla Protezione del Patrimonio Geologico, Roma, 20-21 maggio.
Wimbledon W.A. (1990). 2° European Heritage Sites and Type Sites Inventories. In: Andersen et alii, Jb. Geol. B. A.,133. 657-658.
Wimbledon W.A., Benton M.J., Bevins R.E., Black G.P., Bridgland D.R., Cleal C.J., Cooper R.G. & May V.J. (1995). The development of a methodology for the selection of British Geological Siter for Conservation: Part 1. Modern Geology, 20, 159-202.
Giovanni Alberti, Luca Ciofaniello, Giovanni Galiero, Raffaele Persico, Marco Sacchettino and Sergio Vetrella
Le tecniche di prospezione mediante GPR hanno avuto un considerevole sviluppo negli ultimi decenni grazie alla varietà delle applicazioni ad esse legate, che possono variare dal "demining" alle indagini archeologiche alla diagnostica di opere architettoniche alla rivelazione di strutture idrogeologiche ecc.. Le varie applicazioni richiedono come è noto frequenze di esercizio in generale diverse, ed in conseguenza di ciò antenne ed architetture elettroniche anch'esse in generale differenti. I principi di funzionamento sono però gli stessi, per cui può essere di interesse esporre o apprendere tecniche che sono state messe in atto e utilizzate per una certa applicazione anche in un contesto non strettamente legato a quella specifica applicazione. In particolare, in questo lavoro viene presentato un sistema stepped frequency per prospezioni GPR realizzato presso il laboratorio del consorzio CO.RI.S.T.A. nell'ambito del progetto ARCHEO, finanziato dal MURST. ARCHEO è un progetto dedicato alla realizzazione di opportuni strumenti e software di sostegno per attività archeologiche, realizzati mediante un lavoro ed un approccio al problema multidisciplinari. In particolare, verranno in questa sede mostrati alcuni risultati sperimentali ottenuti in campagne esterne di misura, ponendo l'enfasi sulle possibilità offerte da un approccio al problema nel dominio della frequenza (più precisamente multifrequenza), che può consentire un maggiore dinamica e versatilità dello strumento nei sensi che verremo specificando. Vogliamo sottolineare, per puntualizzare gli aspetti più innovativi del lavoro compiuto, che in effetti la tecnica multifrequenza per la realizzazione dei cosiddetti impulsi sintetici è nota da tempo ma è tuttora complessivamente poco diffusa tanto che, a nostra conoscenza, lo strumento messo a punto nell'ambito di ARCHEO è l'unico GPR stepped frequency mai realizzato in Italia.
V. Iurilli(1,2), G. Mastronuzzi(1), Y. Quinif(3)
La Grotta Zaccaria (PU xyz) si apre nei Calcari di Bari (Ricchetti 1980) pochi km a nord ovest dell'abitato di Ostuni. L'intercettamento della cavità è conseguenza dell'apertura di un'ampia cava di prestito che ha anche permesso l'accesso ad una cavità secondaria nota come Grotta di Zaccaria 2 (PU zjx).
La cavità si sviluppa per un totale di circa kj km su due livelli allungati in direzione N kx E, quindi, appenninici, circa paralleli alla scarpata murgiana. Direzioni accessorie di sviluppo sono antiappenniniche, circa …..
Il sistema ipogeo è costituito da cunicoli freatici alternati a sale che raggiungono la massima dimensione di …x…x… m in corrispondenza dell'estremità meridionale della cavità; in questa cavità un grosso crollo chiude ogni possibilità di accesso a prolungamenti o a cunicoli secondari.
Lungo tutto lo sviluppo totale della cavità si riconosce una ricca presenza di speleotemi; questi per caratteri morfologici e cristallografici paiono essere connessi ad almeno due fasi di concrezionamento. La più antica è caratterizzata da concrezioni ormai in più punti evidentemente in avanzata fase di corrosione; nelle aree più interne una nuova recente fase di concrezionamento è testimoniata da stalattiti spaghettiformi.
Tanto le stalattiti della prima fase di concrezionamento quanto quelle recenti sono in più punti fratturate; il carattere delle strutture di fratturazione indica movimenti verticali e traslativi. Nel caso delle conrezioni più antiche è riconoscibile una traslazione relativa fra stalattiti e relative stalagmiti sino a circa 40 cm. In più punti la fratturazione è lungo piani subparalleli all'orizzontale e pertanto potrebbero indicare strutture da compressione.
Gli speleotemi più recenti mostrano a luoghi fratturazione e ricrescita lungo le stesse fratture. In alcuni casi stalagmiti ricrescono su frammenti presenti sul piano di calpestio. Vermicoliti, infine, presenti sulle pareti delle sale più interne sono interessate da fratture che interessano la roccia in posto.
Lungo la fascia costiera immediatamente a valle della scarpata murgiana affiorano sedimenti di unità Plioceniche - le Calcareniti di Gravina (Iannone & Pieri,1979; D'Alessandro & Iannone, 1984) - e del Pleistocene superiore - i depositi marini terrazzati (Selli, 1962; Di Geronimo, 1970; Ciaranfi et al., 1988; 1994). Questi ultimi in base a dati morfologici e stratigrafici (Mastronuzzi et al, 2001) nonché in base ad analisi della luminescenza residua sono attribuiti al Tirreniano.
La regione pugliese in base a dati geologici e strutturali (Ciaranfi et al, 1988; 1994; Ricchetti et al., 1988), confortati da dati storici e strumentali (Postpischl, 1985) è considerata una regione stabile a partire dal Pleistocene inferiore e medio. Secondo Doglioni et al.(1994) il sollevamento della regione ebbe inizio a partire dal Pleistocene medio e sarebbe da mettere in relazione alla migrazione verso SE del rigonfiamento legato alla subduzione della microplacca apula sotto la catena. Ciaranfi et al. (1994) suggeriscono un taso di sollevamento generale di 0.5 mm/anno; altri Autori (Cosentino & Gliozzi, 1988; Dai Pra & Hearty, 1988; Westaway, 1993; Bordoni e Valenzise, 1999) suggeriscono che esso vari fra 0.40 e 0.20 mm/anno sino ad annullarsi nelle aree piu meridionali del Salento.
Le calcareniti di Gravina sono spesso interessate da sistemi di fratture saldate da calcite di ricristallizzazione. I depositi marini terrazzati più recenti attribuiti al Tirreniano mostrano evidenti segni di fratturazione post diagenetica (Dini et al., 2000) e vi sono state riconosciute strutture legate a sismi (Moretti & Tropeano, 1996; Tropeano et al., 1997). A queste fasi sismotettoniche sono da correlare le fratturazioni riconosciute negli speleotemi della Grotta Zaccaria.
L'insieme dei dati bibliografici, rilevati sul terreno e cronostratigrafici suggerisce che gli stress legati al sollevamento non sono cessati con il Pleistocene medio ma che il sollevamento generalizzato dell'area, anche se differenziato in rateo da zona a zona della Puglia, è proceduto secondo un meccanismo a scatti.
PIETRO PAOLO FANCIULLI1, SALVATORE INGUSCIO2, EMANUELA ROSSI2 E ROMANO DALLAI
Il genere Troglopedetes comprende circa 35 specie distribuite nella regione tropicale. Si tratta di un Entomobryiomorpha a numero ridotto di ommatidi, con il quarto segmento addominale che misura quattro volte la lunghezza del terzo e con mucrone di tipo Paronellidae. Alcune specie di Troglopedetes hanno colonizzato grotte della regione mediterranea. L'unica specie italiana del genere è Troglopedetes ruffoi descritta da Delamare Debouteville (1951) su esemplari raccolti nella grotta Abisso di Castromarina. L'Autore fornì una descrizione succinta della specie menzionando l'originalità della presenza di aree sensorie sul II e III segmento antennale. Il recente ritrovamento di altri esemplari di questa specie della grotta di Castellana ha permesso di illustrare queste particolari strutture e di caratterizzare la specie nell'ambito del genere.
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