Uno degli attributi fondamentali degli organismi viventi è di avere un programma genetico suscettibile di modificarsi nel tempo e nello spazio: la possibilità di poter modificare le istruzioni che vi sono contenute rappresenta la base fondamentale della vita e dell'evoluzione biologica. Le modificazioni del genotipo possono produrre tre distinti livelli evolutivi:un livello adattativo,un livello microevolutivo ed un livello macroevolutivo. Il primo, definito "evoluzione adattativa o convergente", porta, appunto, all'adeguamento delle popolazioni naturali al proprio ambiente come conseguenza della selezione naturale; il secondo, definito anche "speciazione" ha come risultato l'isolamento riproduttivo e genetico delle popolazioni naturali e la conseguente formazione di nuove specie; la macroevoluzione, infine, ci da ragione dei grandi passaggi evolutivi e dell'origine ed estinzione dei principali taxa (phyla) animali. Per ogni specie si può immaginare che esista un momento in cui essa appare (speciazione) ed uno in cui sparisce (estinzione) nello scenario della vita sulla terra. Questi due momenti della vita di una specie sono distanziati da un periodo più o meno lungo durante il quale la specie interagisce con l' ambiente circostante. Mentre la nascita e la morte di un organismo sono eventi discreti, la speciazione e l'estinzione sono eventi difficilmente circoscrivibili e difficilmente osservabili nell'arco di esistenza di un uomo. Esiste pur sempre un momento preciso per la nascita del "capostipite", o per la morte di un ultimo rappresentante di una specie (estinzione terminale); nel primo caso non si può prevedere quanto tempo sarà necessario alla comparsa di una nuova specie, nel secondo caso la specie, come entità, era probabilmente già estinta. In pratica con la morte dell'ultimo rappresentante muore anche la specie cui appartiene, ma non vanno confusi i concetti di individuo e di insieme di individui. Al contrario, praticamente tutti gli eventi catastrofici possono essere considerati come riferimenti temporali alla estinzione locale di specie e alla nascita di altre se i pionieri che ricolonizzano le aree desertificate vengono a trovarsi in condizioni diverse da quelle delle aree da cui sono arrivati. Specie affini condividono un patrimonio comune di caratteri, smorfologici e biomolecolari, che è stato ereditato da un comune progenitore. Se i caratteri comuni ad un gruppo di specie risultano particolarmente utili alla permanenza di queste nel loro ambiente, alla loro diffusione, ed alla diversificazione del gruppo stesso, tali caratteri vengono detti adattativi. Essi cioè rappresentano una soluzione innovativa ai problemi che limitano la sopravvivenza e la riproduzione delle popolazioni. Anche quando un gruppo di specie sia prosperato per un certo periodo di tempo, magari originando una radiazione adattativa, questo successo è da considerarsi sempre effimero su una base di tempo geologico. Alla fine il tasso di estinzione o di modificazione prevale sempre su quello di speciazione ed il gruppo, inizialmente considerato, finisce per estinguersi.Questa sequenza di speciazione, radiazione, ed estinzione, si è avvicendasta varie volte nella storia del pianeta. Attraverso la speciazione, le principali linee evolutive (phyla) si sono adattate alle esigenze delle singole realtà regionali e locali. Dove e quando questo fenomeno si è realizzato, volta per volta, assume una grande importanza dal punto di vista biogeografico. L'evoluzione adattativa, quindi, costituisce il punto di partenza della quasi totalità dei processi evolutivi rappresentando, altresì, la manifestazione più appariscente e più diffusa della vita sul nostro pianeta: "Organisms are surviving because they are adapted, and they are adapted because they are surviving" (A. Burnett-T.Eisner).
In particolare il fenomeno dell'adattamento consiste nell'affermazione
di genotipi (e relativi fenotipi) vantaggiosi come risultato di un
continuo compromesso tra variazione casuale e selezione naturale. Adattamenti generali, spesso molto perfezionati e sofisticati,si riscontrano nell'architettura degli animali, nei loro livelli di organizzazione, nella loro ecologia, fisiologia e comportamento. La struttura dell' ala negli uccelli, peraltro presa a modello da ingegnieri e architetti per l' elaborazione di forme e strutture ottimali per macchine tecnologiche, il corpo dei pesci, la morfologia degli organismi marini abissali ed, infine, il sorprendente fenomeno del mimetismo, rappresentano caratteristiche adattative molto evidenti, in molti casi così perfette da farci addirittura dubitare che si si tratti di fenomeni programmati e predeterminati. Adattamenti particolari sono quelli dei mammiferi, generalmente di piccole dimensioni nelle regioni calde e di dimensioni maggiori in quelle più fredde: in questo caso il relativo vantaggio adattativo consiste nel fatto che dimensioni maggiori consentono un più efficace mantenimento della temperatura corporea. In altri casi, alcune estremità del corpo (orecchie, coda, etc.), la cui funzione è anche quella di disperdere calore, risultano maggiormente sviluppate in specie che vivono in ambienti caldi. I molluschi terrestri e di acqua dolce presentano generalmente conchiglie non molto calcificate e poco ornate rispetto a quelle delle specie marine e tra queste ultime le forme che vivono in acque più calde sono dotate di conchiglie più robuste di quelle presenti in specie di acque profonde: anche in questo caso il particolare tipo di habitat (terrestre: molto povero in carbonato di calcio; acque marine calde: molto ricche di questo sale) condiziona l'adattamento morfologico delle relative popolazioni. L'adattamento è anche in relazione alla fisiologia degli organismi animali, in particolare all'osmoregolazione, alla respirazione, all'escrezione e allo sviluppo; a quest'ultimo riguardo è ben noto come in alcuni insetti il tempo di incubazione delle uova sia molto lungo nelle regioni fredde e lo sviluppo non si completa prima dell'avvento della stagione calda. Analogamente nelle specie sotterranee i tempi dello sviluppo possono essere anche notevolmente lunghi come risposta ad un ambiente particolarmente povero di risorse; in questi ambienti, peraltro, numerose sono anche le risposte adattative morfologiche quali la completa depigmentazione corporea, l'assenza di organi visivi, le ridotte dimensioni, l'allungamento delle appendici, etc. Adattamenti speciali possono implicare anche specializzazioni biochimiche: è il caso, ad esempio, di alcuni cnidari che vivono lungo le coste atlantiche degli Stati Uniti, dal Maine alla Florida, che sono dotati di enzimi diversi a seconda della temperatura locale dell'acqua. Molto significativi sono gli esempi di adattamento relativi ai numerosi insetti selezionati nei confronti del D.D.T., dell'acido cianidrico e di altri tossici e quello relativo a ceppi batterici resistenti agli antibiotici, in alcuni casi addirittura antibiotico-dipendenti. Un caso molto interessante di resistenza agli insetticidi è stato messo in evidenza nei coccidi che infestavano, all'inizio del secolo, le coltivazioni di agrumi della California. In questo periodo venne adoperato, quale insetticida, gas cianuro ad alte concentrazioni, tali da eliminare il 100% di questi insetti. Dopo circa 15 anni i coltivatori notarono che le suddette dosi non risultavano più efficaci, soprattutto nei confronti di un nuovo coccide, il coccidio rosso, che presentava una elevata resistenza (circa il 22%) all'insetticida. Il preciso meccanismo di tale resistenza non è ben noto, ma sembra che le forme più resistenti abbiano elaborato una particolare strategia adattativa per sottrarsi all'azione del tossico: essi, cioè, in presenza dell'insetticida riescono a tenere i loro spiracoli chiusi per circa 1/2 ora, al contrario le forme meno resistenti riescono a farlo solo per pochi secondi. Infine, l'adattamento può riguardare le diverse strategie demografiche delle popolazioni naturali. E' noto, infatti, come condizioni ambientali instabili, rigorose e difficili, ma soprattutto la riduzione delle risorse trofiche possano far diminuire la fertilità delle popolazioni naturali (strategia "r"); al contrario, ambienti stabili e favorevoli sono in relazione ad una più elevata produttività (strategia "K"). Appunto per la sua stupefacente perfezione, la biologia creazionistica pre-darwiniana considerava l'adattamento e l'armonia del mondo vivente come il prodotto iniziale della creatività di un Ente Superiore. Le teorie darwiniane e post-darwiniane hanno, invece, ampiamente dimostrato che l'evoluzione biologica ha una lunga storia, iniziata con "esperimenti" semplici, spesso imperfetti, dai quali sarebbero stati successivamente prodotti innumerevoli tentativi di perfezionamento, di adattamento, la gran parte dei quali sarebbero abortiti, solo pochi avrebbero avuto successo e sarebbero, appunto, quelli che fanno parte del mondo che ci circonda. Nei suoi primi passi l'evoluzione biologica annovera, quindi, un enorme numero di imperfezioni, di tentativi falliti: in molti casi si tratta di caratteristiche che alla loro comparsa non presentavano un chiaro significato adattativo, significato che hanno assunto, in alcuni casi, solo successivamente. A quest'ultimo riguardo possiamo citare i casi di preadattamento (o adattamento passivo) di molte specie che, accanto a caratteri vantaggiosi selezionati, possono presentare caratteristiche morfo-funzionali non vantaggiose o indifferenti nell'ambiente in cui vivono ma che potrebbero rivelarsi particolarmente utili in un nuovo ambiente. E' il caso, ad esempio, degli organismi interstiziali o edafici i quali presentano tutta una serie di caratteristiche (ridotte dimensioni corporee, parziale depigmentazione, riduzione degli organi visivi, etc.) che ne fanno i potenziali colonizzatori degli ambienti sotterranei. Il rilevante numero di imperfezioni o di caratteristiche indifferenti dimostrano, in maniera inequivocabile, che le condizioni imposte dall'evoluzione abiologica hanno molto spesso "lavorato" contro il conseguimento di un preciso e tempestivo adattamento dei viventi. Esistono molte prove a sostegno di una tale interpretazione: la persistenza, in molti animali, di organi rudimentali o vestigiali, di strutture cioè che hanno perso, nel corso dell'evoluzione, la loro originaria funzione; alcune caratteristiche embrionali che non permangono o si trasformano negli adulti, le numerose omologie ed, infine, alcune distribuzioni zoogeografiche, quale quella relativa ai marsupiali dell'Australia, di difficile interpretazione adattativa. Tuttavia l'evoluzione adattativa, disponendo nella maggior parte dei casi di tempi sufficientemente lunghi, ha potuto agire contro un mondo imperfetto con un gran numero di interventi sulla variabilità delle popolazioni naturali rivolti al conseguimento, mediante selezione, di un adeguato adattamento all'ambiente e di una piena "fitness" riproduttiva. La ricerca dei meccansimi dell'evoluzione adattativa deve, pertanto, incentrarsi sulle modalità con cui le pressioni selettive che operano sui fenotipi passano al programma genetico, modificandolo. Come è noto il materiale grezzo su cui opera la selezione per produrre il cambiamento evolutivo è offerto dalla variazione casuale delle popolazioni naturali. Ad ogni mutamento ambientale le selezione elimina quella parte di variazione non adattativa, favorendo di conseguenza quegli individui le cui caratteristiche risultano favorevoli alla nuova direzione assunta dalla selezione. Questi individui, dotati di maggiore "fitness", tendono ad avere maggior successo riproduttivo rispetto agli altri: essi producono più discendenti e, di conseguenza, la frequenza dei geni per i caratteri favorevoli aumenta. Al contrario, per i pre-darwiniani, creazionisti, la selezione naturale doveva invece funzionare come una forza "purificatrice" delle popolazioni naturali nel senso che eliminava gli individui che si scostavano da un tipo morfo-funzionale ideale e perfettamente integrato con il proprio ambiente. Oggi sappiamo, come del resto era stato già intuito da Darwin e successsivamente confermato dalla scuola neo-darwinista, che la selezione ha un ruolo preminentemente creativo in quanto diretta responsabile del cambiamento delle frequenze alleliche e del conseguente accumulo, generazione dopo generazione, delle variazioni più favorevoli. In definitiva l'evoluzione adattativa, così come sinteticamente espresso da Monod, è un processo che opera su due fronti: il caso (la variazione) e la necessità (la selezione naturale): l'interazione tra queste due componenti produce come effetto l'adattamento, in molti casi il differenziamento specifico e, più in generale, l'evoluzione biologica. In tutti i casi il successo evolutivo dipende da fattori diversi che regolano la variazione e la selezione e che, nel loro complesso, si rifanno alla cosidetta "teoria sintetica" dell'evoluzione. Come si è già accennato, la variazione deve essere del tutto casuale. Se così non fosse e si potesse ipotizzare la possibilità di mutazioni già indirizzate verso adattamenti favorevoli, la selezione si ridurrebbe ad un semplice esecutore: essa, cioè, eliminerebbe gli individui meno adatti ma non potrebbe essere responsabile del successo riproduttivo di quelli che presentano caratteri vantaggiosi. Inoltre, le popolazioni naturali devono essere polimorfe, dotate cioè di una ampia variabilità genetica; infatti, se la variabilità fosse molto ridotta e la maggior parte dei membri di una popolazione fosse generalmente uniforme, la selezione non avrebbe una sufficiente gamma di variazioni su cui operare e, di conseguenza, l'evoluzione sarebbe limitata dalla sola variabilità. La variazione, pur sufficientemente ampia, deve, tuttavia, essere prodotta lentamente: infatti, se notevoli variazioni (mutazioni) comparissero all'improvviso e, come conseguenza, si formassero subito nuove specie, perfettamente adattate, la selezione, anche in questo caso, perderebbe di significato. Quest'ultima caratteristica era stata già intuita da Darwin il quale aveva ipotizzato che la microevoluzione dovesse realizzarsi a piccole tappe e con piccoli cambiamenti, mediante l'azione della selezione naturale e non come conseguenza di eventi favorevoli improvvisi e fortuiti. Del tutto insostenibile appare, di conseguenza, la tesi di alcuni neodarwinisti i quali, all'inizio del secolo, sopravvalutando il ruolo delle mutazioni, avevano ipotizzato la teoria del cosidetto "mostro pieno di speranza" ("hopeful monster"), cioè la comparsa improvvisa di nuovi tipi di organismi come risultato di un brusco cambiamento del materiale genetico. Infine la genetica mendeliana ha enfatizzato un altro importante aspetto strettamente correlato con la selezione naturale ed il conseguente adattamento, la cosidetta: "ereditarietà a particelle discrete" (geni). Anche Darwin sosteneva l'idea che l'ereditarietà avvenisse per mescolamento e cioè che i caratteri dei genitori, persa la loro individualità, si dovessero mescolare nei figli che, pertanto, mostrerebbero caratteristiche intermedie rispetto a quelle parentali. Una tale interpretazione, tuttavia, doveva necessariamente ammettere che, nel tempo, alcune varianti sia favorevoli che sfavorevoli potessero via via diluirsi sino a scomparire del tutto e ciò, evidentemente, non è possibile. A questo proposito Curtis (1985) afferma che "le piccole variazioni ereditarie non si mescolano come una goccia d'acqua colorata in un bicchiere, bensì persistono come delle palline blu in una scatola di palline di diverso colore". La genetica moderna, con la teoria dell' "ereditarietà a particelle discrete", ha sufficientemente dimostrato che alleli per caratteri svantaggiosi non vengono necessariamente eliminati per reincrocio; in particolare alleli recessivi non si perdono nè si riducono, bensì possono non esprimersi per alcune generazioni (variabilità latente) per poi esprimersi in omozigoti con fenotipi eventualmente vantaggiosi. In sintesi, possiamo affermare che affinchè la selezione mantenga il suo ruolo attivo nell'evoluzione adattativa è necessario che le variazioni su cui opera siano casuali, frequenti, discrete e si realizzino a piccole tappe e con bassa velocità. L'evoluzione adattativa, infine, può realizzarsi con due modalità distinte: "evoluzione parallela"e "inversione evolutiva". La prima si verifica quando una o più caratteristiche morfo-funzionali evolvono indipendentemente in specie affini. Infatti, è molto probabile che specie che risultino molto affini tra loro e che abbiano anche gli stessi modelli di sviluppo e simili pool genici si modifichino allo stesso modo se soggette ad analoghe pressioni selettive; d'altro canto sarebbe molto improbabile che strutture o caratteristiche molto complesse si possano evolvere allo stesso modo in gruppi distanti tra loro (Legge di Dollo). Casi di evoluzione parallela sono molto frequenti nel regno animale: ad esempio, nei mammiferi placentati molti gruppi hanno evoluto indipendentemente caratteristiche morfologiche (forma del corpo, struttura degli arti, etc.) simili e analoghi modi di alimentarsi; negli insetti, molte specie di api e di formiche hanno similmente evoluto uguali e complessi comportamenti sociali. Gli occhi dei vertebrati e dei molluschi cefalopodi, l'ala degli uccelli, degli insetti e dei pipistrelli rappresentano, appunto, esempi di caratteri convergenti, cioè prodotti a seguito di evoluzione adattativa, paralella. Al contrario, caratteri meno complessi possono mostrare una inversione evolutiva o degenerare, tornando al loro stato primitivo. Ad esempio, sempre negli insetti esistono forme alate e forme attere, ma quest'ultima condizione può essere primitiva come nei collemboli, oppure derivata come nella maggior parte degli altri gruppi di insetti. In generale si può affermare che la direzione più probabile in cui una data caratteristica può evolversi dipende necessariamente sia dall'ambiente, cioè dalla selezione naturale, che dalle potenzialità e limiti del programma genetico e di sviluppo di ciascuna specie. Da quanto sin qui esposto potrebbe sembrare che la selezione naturale sia il più importante, se non l'unico agente in grado di produrre cambiamenti delle frequenze alleliche nelle popolazioni naturali e, quindi, di determinarne la relativa evoluzione. I recenti, notevoli progressi della genetica molecolare hanno fatto nascere forti dubbi su questo tipo di interpretazione. Infatti sono stati scoperti altri tipi di cambiamento evolutivo, non meno importanti, neutrali e prodotti casualmente, i più importanti dei quali sono la "deriva genica" e l' "effetto del fondatore"
Come è noto l'integrità di una specie è garantita da due ordini di fattori: il mantenimento di un flusso genico aperto intra ed interpopolazionistico ed il suo isolamento riproduttivo e genetico rispetto a tutte le altre. Per microevoluzione (o speciazione) si intende quel particolare processo evolutivo a seguito del quale si instaurano meccanismi isolanti riproduttivi e genetici tra popolazioni un tempo conspecifiche o nell'ambito di una stessa popolazione. Attualmente è comunemente accettato che in un processo di speciazione debbano intervenire fattori diversi, i più importanti dei quali sono: l'isolamento riproduttivo-genetico, la disponibilità di nuove nicchie ecologiche ed il tempo. L' isolamento riproduttivo si consegue generalmente con due distinte modalità. L' una consiste in un isolamento come fenomeno accidentale a seguito di divergenza genetica: ad esempio, popolazioni un tempo interfeconde si possono differenziare geneticamente come conseguenza di adattamenti a nicchie ecologiche diverse perdendo, di conseguenza, l'interfecondità a causa dei loro "pools" genetici disarmonici. L'altra modalità con cui si può determinare un isolamento riproduttivo in una popolazione è per mezzo della selezione naturale. Vi sono diversi modi con cui si può realizzare un processo di speciazione ma, in ogni caso, vi si possono riconoscere due stadi fondamentali. Il primo richiede l'interruzione totale o parziale del flusso genico tra due popolazioni della stessa specie. Tale interruzione comporta il differenziamento delle due popolazioni come conseguenza di un diverso adattamento a condizioni locali diverse o a diversi modi di vita (nicchie ecologiche diverse): a seguito di tale interruzione generalmente compaiono meccanismi isolanti riproduttivi tra le due popolazioni. E' da notare che in un primo momento compaiono solo meccansimi isolanti post-zigotici, quale effetto di divergenza genetica e non di selezione naturale. Il secondo stadio comporta l'instaurarsi di meccanismi isolanti più completi ed efficaci, cioè di meccanismi pre-zigotici, questa volta promossi dalla selezione naturale. In ogni caso, comunque, affinchè la speciazione abbia successo è indispensabile eliminare il flusso genico dalla popolazione di origine e da tutte quelle circostanti o, al più, ridurlo ad un valore tale che le combinazioni genetiche favorevoli che si producono localmente non vengano diluite o eliminate. La speciazione è, quindi, strettamente correlata con l'insediamento di popolazioni piccole e discrete che siano allo stesso tempo protette dalla "contaminazione" di geni provenienti dal resto della popolazione parentale e da altre limitrofe. Esistono sei modelli principali per realizzare un tale presupposto:
a) una piccola popolazione si separa geograficamente dalla popolazione
parentale. Il primo di questi modelli viene definito " speciazione allopatrica" (o geografica), il secondo "speciazione simpatrica", il terzo, "speciazione parapatrica" (o stasipatrica), il quarto "speciazione filetica", il quinto, "quantum speciation", l' ultimo, infine, speciazione per ibridazione.
All Rights Reserved. Text and images on this website may not be redistributed or put |