Alice, nella famosa favola "Dietro lo Specchio", scettica davanti alla strana logica della Regina Bianca, seppe solo ridere. “Non ha senso provare”, disse. “Non si può credere alle cose impossibili”. La regina rispose: “Oserei dire che non hai molta esperienza. Quando avevo la tua età lo facevo per mezz’ora al giorno. Anzi, a volte ho creduto a ben sei cose impossibili prima di colazione”.
Gli evoluzionisti potrebbero essere considerati le Regine Bianche d’oggi: hanno grandissima esperienza nel credere alle cose impossibili ! Prima del XVIII secolo nel mondo scientico dominava la concezione di un mondo visto come un’entità immutabile sino dalla sua creazione. Alcuni cenni dell’idea di evoluzione si possono, comunque, ritrovare già in alcuni filosofi greci, quali Empedocle e Aristotele. Quest' ultimo in particolare, nel suo "Scala Naturae", esprimeva il concetto di un progressivo perfezionamento delle cose viventi a partire da materia inanimata per giungere alle piante, agli animali e infine all’Uomo. Tuttavia i Greci non giunsero a sviluppare una vera e propria teoria evolutiva e l’idea della trasformazione delle specie in altre specie si perse nei secoli successivi. Con l’avvento del Cristianesimo gli scienziati, fortemente influenzati dal pensiero prevalente nel Medio Evo, dall' infallibilità della Bibbia e della Genesi, ritornarono all' idea creazionistica e fissista. Nel '700 l’idea della immutabilità delle specie e della loro creazione a seguito di intervento divino (creazionismo) ebbe il suo massimo rappresentante nel naturalista svedese Carlo Linneo che affermava che le specie esistenti erano state create una volta per sempre per progetto divino. James Hutton, ritenuto il padre della geologia moderna elaborò, nel 1795, la teoria dell' uniformatorismo, base dell' attuale geologia e della paleontologia, secondo la quale i processi geologici avrebbero agito nel passato con le stesse modalità con cui agiscono oggi. Il biologo francese Georges-Louis Leclerc, Conte di Buffon, verso la metà del '700 affermava che le specie sarebbero cambiate dal momento della loro creazione, e proponeva varie ipotesi riguardo alle cause e ai meccanismi dei suddetti cambiamenti: influenza dell'ambiente, migrazioni, isolamento geografico, lotta per l'esistenza. Erasmo Darwin, verso la fine dello stesso secolo, formulava l'ipotesi di un possibile progenitore comune per tutti i viventi, basandosi su osservazioni effettuate sullo sviluppo embrionale degli animali, sulla selezione naturale operata da allevatori e coltivatori e sulla presenza di organi oggi inutili ma che sarebbero stati funzionali negli antenati degli attuali animali. Successivamente, Abraham Gottlob Werner e Georges Cuvier (1769-1832) sono stati i maggiori sostenitori di quella che va sotto il nome di "Teoria delle catastrofi". Secondo questa teoria gli eventi geologici sarebbero stati la conseguenza di grandi catastrofi ambientali, l' ultima delle quali il diluvio universale. Secondo Cuvier, ad ogni catastrofe sarebbe seguita una nuova creazione. Questa visione appariva a quel tempo rassicurante e conciliante, quindi venne accolta con molti consensi. Louis Agassiz (1807-1873) calcolò 50-80 catastrofi seguite da altrettante creazioni.
Il geologo britannico Charles Lyell confutò questo tipo di teorie catastrofiste nel suo lavoro fondamentale «Principi di geologia» (1833), libro letto da Darwin a bordo del Beagle. Ma il fenomeno dell’estinzione delle specie restava ancora non spiegato. Come tutti gli scienziati del suo tempo, Lyell pensava che le specie fossero “immutabili” nelle loro caratteristiche anatomiche e fisiologiche. Riteneva dunque che, se le condizioni dell’ambiente mutavano, era possibile che le specie diventate inadatte potessero perire, come potrebbe farlo qualsiasi specie, normalmente adattata ad un clima temperato ed umido, costretta a vivere in un clima caldo e secco. Tuttavia, un problema rimaneva poiché, secondo le concezioni filosofico-teologiche dell’epoca, l’estinzione di una specie creava “un vuoto nella totalità” della natura. Occorreva dunque che una nuova specie apparisse per riempire questo vuoto. Ma, era pertanto concepibile che Dio vigilasse in ogni punto del mondo allo stesso tempo sia sull’estinzione delle specie che sulla creazione di specie nuove?
Jean Baptiste Lamarck è stato il primo a proporre una vera e propria teoria sull’evoluzione. Secondo questo autore gli individui di una data specie subirebbero modificazioni continue delle loro strutture a seguito di stimoli ambientali. In tal modo alcuni organi si sarebbero sviluppati perché usati intensamente e frequentemente; al contrario altri organi, non utilizzati, si atrofizzerebbero. Secondo Lamarck, quindi, potevano essere trasmesse dai genitori ai figli le modificazioni sviluppate durante la vita individuale, cioè i caratteri acquisiti. Per Lamarck, specie nuove, sempre più complesse, si originano da specie più semplici mediante l’accumularsi ed il perfezionamento di di tali caratteristiche. L’esempio più classico e conosciuto, riportato da Lamarck a sostegno della propria teoria è quello che riguarda l' evoluzione del collo delle giraffe. Gli antenati delle giraffe dovevano avere il collo di lunghezza normale ma essendo costretti a brucare le foglie degli alberi di acacia durante i periodi di siccità, lo sforzo continuo per raggiungere quelle più alte avrebbe causato il progressivo allungamento del collo e questo carattere acquisito sarebbe stato trasmesso alle generazioni successive. Non esistono, tuttavia, prove in grado di dimostrare l'ereditarietà dei caratteri acquisiti e l' errore fondamentale di Lamarck fu, appunto, quello di non considerare che le modificazioni del fenotipo non sono ereditabili, bensì ciascun individuo può trasmettere ai propri figli solo i caratteri presenti nel suo genotipo. Il contributo scientifico di Lamarck è stato,comunque, molto importante poiché egli è stato il primo a proporre che gli organismi subiscano cambiamenti nel tempo come risultato di qualche fenomeno naturale e, pertanto, a sostenere l' idea di una evoluzione biologica. La prima formulazione precisa e completa della teoria evolutiva fu, tuttavia, elaborata successivamente da Charles Darwin con la sua opera del 1856: L’origine delle specie. A quel tempo, nonostante molti studiosi fossero già convinti che gli organismi viventi subissero continue modifiche nel tempo, l’idea che si potesse risalire, per tutte le specie, a un progenitore comune, fu causa di numerose ed accanite controversie. La teoria darwiniana incontrò notevoli resistenze soprattutto da parte dell’ambiente scientifico, tuttavia i suoi fondamenti erano così convincenti che in breve tempo l’idea dell’evoluzione si impose all’attenzione dell’opinione pubblica delk tempo. Negli ultimi decenni, gli studi di genetica e di biologia molecolare hanno fornito uno strumento potente e prezioso per studiare i mutamenti che si sono prodotti nel passato remoto e recente delle specie: la capacità di "leggere" il codice genetico ed identificare i geni responsabili di caratteri e proprietà biologiche è stata determinante per la teoria evoluzionistica, perché ha permesso di confrontare gruppi di organismi differenti e ricostruire in tal modo il relativo albero genealogico Nel corso dei suoi lunghi studi Darwin dimostrò che le diverse specie cambiano nel tempo, seppure molto lentamente, perché da una generazione all’altra vengono trasmesse quelle mutazioni in qualche modo vantaggiose per la sopravvivenza che danno vita a individui più adatti alle condizioni ambientali. Darwin aveva iniziato la sua carriera di naturalista all’età di 22 anni, quando era stato chiamato a far parte di una spedizione che sul brigantino «Beagle» doveva compiere un giro per i mari del mondo. Sono classiche le osservazioni che egli fece alle isole Galapagos dove tra l’altro studiò un gruppo di fringuelli esistenti soltanto in quelle isole, suddivisi in 14 specie che differivano per il regime alimentare e quindi per la forma del becco. Darwin fu molto influenzato dalla lettura del «Saggio sui principi della popolazione» dell’economista inglese T. R. Malthus, il quale sosteneva che le popolazioni si accrescono con un ritmo molto maggiore di quello con il quale aumentano le risorse alimentari e questo fatto obbliga gli individui ad una continua lotta per l’esistenza. Darwin capì che a causa di questa lotta per l’esistenza si realizzerebbe un processo di selezione naturale che permette la sopravvivenza unicamente degli individui meglio adattati alle diverse e particolaricondizioni ambientali, la natura cioè seleziona gli individui dotati di caratteri vantaggiosi mentre elimina gli altri. Attraverso la riproduzione, le modificazioni vantaggiose si trasmetterebbero da una generazione all’altra e quindi gradualmente gli organismi si differenziano in gruppi sempre più diversi fino a diventare specie distinte. Il meccanismo della selezione naturale secondo Darwin può essere spiegato dalle seguenti considerazioni:
1) Sovraproduzione. Gli organismi producono una prole troppo numerosa rispetto alle risorse disponibili per garantirne la sopravvivenza; solo pochi individui sopravvivono fino alla maturità sessuale. 2) Variabilità. In ogni popolazione esiste una variabilità tra caratteri portati da individui diversi e i vari caratteri che determinano le differenze tra i singoli individui sono ereditabili. Alcuni di questi caratteri migliorano la probabilità di sopravvivenza degli individui che li possiedono. 3) Limiti alla crescita della popolazione. Per una data popolazione, la disponibilità di cibo, acqua, spazio per crescere e altre risorse è limitata. Per queste limitate risorse gli organismi competono gli uni con gli altri in una "lotta per l’esistenza". 4) Differente successo riproduttivo. Gli individui che possiedono le combinazioni di caratteri più favorevoli hanno maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi trasmettendo i loro caratteri alla generazione successiva. In conclusione, secondo Darwin, la selezione naturale consiste nella sopravvivenza non casuale di caratteristiche ereditarie. La selezione naturale opera scegliendo il "più adatto" e scartando "il meno adatto". Gli individui che sopravvivono fino al raggiungimento della maturità sessuale sono quelli che presentano i caratteri più favorevoli e poiché questi hanno maggiori probabilità di riprodursi, i caratteri favorevoli che loro trasmettono alle generazioni successive aumentano di generazione in generazione. Ai tempi di Darwin, tuttavia, le conoscenze molecolari dei meccanismi dell’ereditarietà erano praticamente quasi nulle e, dunque, la questione di come i fattori ereditari vengono trasmessi di generazione in generazione risultava molto incerta e controversa.
“Se in condizioni mutevoli di vita gli esseri viventi presentano differenze individuali in quasi ogni parte della loro struttura, e ciò non è discutibile; se a cagione25 del loro aumento numerico in progressione geometrica26 si determina una severa lotta per la vita in qualche età, stagione o anno, e ciò certamente non può esser discusso; allora, considerando la infinita complessità delle relazioni di tutti gli esseri viventi fra di loro e con le loro condizioni di vita, la quale fa si che un'infinita diversità di struttura, costituzione e abitudini, sia per essi vantaggiosa, sarebbe un fatto quanto mai straordinario che non avessero mai avuto luogo variazioni utili al benessere di ciascun individuo, allo stesso modo con cui hanno avuto luogo tante variazioni utili all'uomo. Ma se mai si verificano variazioni utili ad un qualsiasi essere vivente, sicuramente gli individui così caratterizzati avranno le migliori probabilità di conservarsi nella lotta per la vita; e per il saldo principio dell'eredità, essi tenderanno a produrre discendenti analogamente caratterizzati. Questo principio della conservazione, o sopravvivenza del più adatto, l'ho denominato selezione naturale. Esso conduce al miglioramento di ciascuna creatura in relazione alle sue condizioni organiche ed inorganiche di vita, e di conseguenza, nella maggioranza dei casi, a ciò che può essere considerato come un progresso nella organizzazione. Ciononostante, forme basse e semplici perdureranno a lungo se bene adatte alle loro semplici condizioni di esistenza.”
La svolta teorica della teoria darwiniana dell' evoluzione è stata certamente l' affermazione del principio della selezione naturale, che restò a lungo soltanto un'ipotesi, anche quando la teoria dell'evoluzione era già stata largamente accettata. Secondo Darwin, il meccanismo della discendenza con modificazioni si realizzerebbe attraverso due fasi: dapprima sviluppo di un'abbondante varietà di individui, che vengono qundi selezionati tramite il criterio della sopravvivenza del più adatto, o selezione naturale. La prima fase è dominata dalla casualità, la seconda dalla necessità.(vedi Monod: Il Caso e La Necessità) La controversia fra le diverse teorie evolutive durò diversi decenni; le ricerche nel campo della genetica (genetica evoluzionista) e, in seguito, della biologia molecolare, fornirono poi molti argomenti a favore del darwinismo. Un notevole contributo venne anche dallo sviluppo di nuovi criteri tassonomici (v. riquadro) e dalla paleontologia. Ormai il darwinismo è accettato quasi unanimemente, almeno in ambito scientifico; il dibattito, a volte anche aspro, verte principalmente sul peso da attribuire ai diversi fattori che agiscono sull'evoluzione. Nel rapporto fra casualità e necessità, ad esempio, Richard Dawkins e Daniel Dennett privilegiano la seconda, nella convinzione che la selezione naturale regoli tutto ciò che ha qualche importanza nell'evoluzione, riducendo di molto il ruolo ricoperto dalla fase della variazione. Dawkins ha costruito una teoria generale della trasmissione dei tratti culturali, che avverrebbe tramite i "memi", presunti equivalenti dei geni, che si replicano utilizzando le menti umane. In questa concezione è vicino a Edward O. Wilson, padre della sociobiologia, che costituisce un tentativo di spiegare biologicamente la cultura e l'organizzazione sociale. L'impostazione concettuale che privilegia la fase della necessità viene definita fondamentalismo darwiniano da Stephen Jay Gould e Niles Eldredge che, accentuando invece l'aspetto della casualità, sostengono la teoria degli "equilibri punteggiati": secondo questa teoria l'evoluzione non procede con un cambiamento lento e costante, ma con l'alternanza di lunghi periodi di stasi e repentini cambiamenti, a volte dovuti a eventi catastrofici, come la scomparsa dei dinosauri che sarebbe stata causata dall'impatto di un gigantesco meteorite.
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