CRINOIDEI


I Crinoidei sono i cosiddetti «gigli di mare», tra gli echinodermi attuali quelli più simili al tipo ancestrale. I veri gigli di mare sono i crinoidei più primitivi, composti da un peduncolo basale con cui si fissano a un substrato (sono organismi per lo più sessili) e da un corpo a corona, con la bocca al centro e alcune braccia (generalmente 5) provviste di sottili pinnule con cui l'animale convoglia il cibo alla bocca.


I crinoidei tropicali, le comatule, più moderni e numerosi, si discostano abbastanza dal tipo ora descritto: essi possono nuotare liberamente, sono privi di peduncolo ma posseggono alla base dei cirri con cui ancorarsi temporaneamente al substrato. Le comatule possono avere decine di braccia, ma ciò è dovuto al fatto che molte di esse si ramificano, dividendosi più volte: a seconda delle specie queste braccia possono avere lunghezza variabile tra i cm 2-3 e i 30 cm.


Le braccia sono provviste di pinnule disposte in serie che danno loro l'aspetto di penne: le pinnule captano il plancton e i detriti organici grazie al muco che le riveste, il cibo viene poi convogliato lungo i solchi ambulacrali che attraversano longitudinalmente i tentacoli fino ad arrivare alla bocca. Le comatule tropicali si spostano grazie al movimento delle braccia, sia camminando sul fondo sia nuotando: in ogni caso l'apertura boccale è sempre rivolta in alto.



ASTEROIDEI


Agli Asteroidei appartengono le ben note stelle di mare, provviste di 5 braccia (che spesso però possono essere più numerose) disposte intorno a un corpo più o meno circolare (il disco) in cui superiormente si apre l'ano, inferiormente la bocca: sempre nella faccia inferiore, ogni braccio è percorso da un solco ambulacrale provvisto di 2 o 4 serie di pedicelli ambulacrali.

Le stelle marine mostrano capacità rigenerative sorprendenti: soprattutto le braccia, parzialmente o totalmente amputate, possono ricrescere in pochi mesi, e addirittura alcune stelle sono in grado di riprodursi agamicamente dividendosi in prossimità del centro del corpo. Dal punto di vista alimentare possiamo, molto approssimativamente, distinguere le stelle in macrofaghe e microfaghe: le prime sono in genere predatori assai voraci soprattutto di molluschi, ma anche di altri echinodermi (ricci, ofiure), nonché divoratori di pesci e crostacei morti o morenti.


Lo stomaco di queste stelle è spesso estroflessibile, la preda viene inglobata in esso e digerita quindi all'esterno in succhi che vengono poi assimilati dall'animale.

Le stelle microfaghe si nutrono invece essenzialmente di microorganismi animali del benthos, inglobati nel muco e convogliati poi da un sistema di ciglia disposto lungo i canali ambulacrali verso lo stomaco.


Alla categoria delle stelle macrofaghe appartengono alcuni generi tropicali (Protoreaster, Pentaceraster) molto adatti ad essere allevati in acquario: si tratta di stelle dalle braccia piuttosto tozze, con il corpo dall'aspetto bitorzoluto a causa di numerose escrescenze tondeggianti, spesso assai colorate. In acquario vivono anche a lungo, crescendo con rapidità sorprendente, ma occorre tener presente che molluschi bivalvi di ogni tipo vengono da questi asteroidei considerati come cibo, dunque assaliti e divorati in poco tempo. Al gruppo delle microfaghe appartiene invece la splendida Linckia laevigata, una stella viola molto diffusa, come altre congeneri, nelle zone calde del Pacifico.

Questa stella è in grado di riprodursi agamicamente in modo a dir poco sconcertante, automutilandosi delle braccia: ogni braccio ha poi la capacità di rigenerare un nuovo corpo e nuove braccia! Una splendida stella microfaga è Fromia elegans, rossa e dalla forma piuttosto appiattita: come le stelle viola del genere Linckia, anche questa specie appare regolarmente sul mercato acquaristico italiano, ed è abbastanza resistente.

Le stelle microfaghe possono vivere a lungo e riprodursi solo in acquari piuttosto «vecchi», ricchi di alghe e di microfauna bentonica, in compagnia di invertebrati sessili filtratori: si può provare a somministrare del mangime secco o liofilizzato di origine animale, in piccole quantità, lasciandolo cadere sul fondo, ma è assai improbabile che queste stelle se ne nutrano, mentre tale somministrazione può essere utile per incrementare ulteriormente la microfauna bentonica.



ECHINOIDEI


Gli Echinoidei attuali comprendono circa 800 specie viventi: l'immagine del riccio, rotondo e cosparso di aculei appuntiti, è ben nota a tutti, ma molte specie si discostano sensibilmente da questa struttura, alcune infatti sono piatte o semisferiche, altre posseggono aculei corti e tozzi o simili a setole. I ricci sono organismi sessili solo apparentemente, in quanto sono capaci di spostarsi, sia pur lentamente, con l'ausilio dei pedicelli ambulacrali inseriti tra gli aculei: questi pedicelli vengono usati anche per avvicinare il cibo alla bocca e, essendo adesivi, possono aderire a conchiglie, alghe, pezzetti di legno ed altri oggetti utilizzati dal riccio per proteggersi dalla luce.


Gli Echinoidei sono organismi sciafili, molte specie vivono a grandi profondità, mentre le specie delle acque superficiali preferiscono vivere al riparo dalla luce eccessiva, disponendosi in gran numero fra gli anfratti delle rocce. La bocca dei ricci è posta in basso, a contatto del fondo, esattamente opposta all'ano che si trova invece nel polo superiore (ciò vale solo per i cosiddetti echinoidei regolari, mentre negli irregolari bocca e ano possono assumere posizioni differenti).


In molti ricci la bocca è fornita di un formidabile apparato masticatore, la lanterna di Aristotele, formato da 5 «denti» assai robusti posti in circolo e affiancati l'uno all'altro.

I ricci che colonizzano i fondi fangosi e sabbiosi sono per lo più detritivori, si nutrono cioè delle particelle organiche frammiste alla sabbia da essi filtrata e setacciata, mentre le specie dei fondali rocciosi e madreporici sono essenzialmente fitofaghe, nutrendosi in particolare di alghe.Uno dei più strani ricci tropicali è Heterocentrotus mammillatus, una splendida specie del Pacifico dagli aculei rossastri, grossi e lucidi con punta smussata: tali aculei contengono una sostanza vischiosa bianca, e vengono usati da molti scolari delle isole del Pacifico per scrivere sulle lavagne a mo' di gessetti.

Di aspetto assai diverso è Tripneustes gratilla, dell'Indo-Pacifico, uno dei pochi ricci regolarmente importati per essere allevati in acquario: questa specie, dal corpo rotondo e diviso in «spicchi» da bande meridiane prive di aculei, è provvista di aculei brevi, più corti dei pedicelli ambulacrali, nerastri variegati di bianco. Anche questo riccio, come il precedente, possiede ghiandole velenifere collegate alla lanterna di Aristotele, tuttavia l'eventualità di un morso a pesci o persone da parte di questi ricci è assai remota: entrambe le specie citate sono fitofaghe, e in acquario vivono abbastanza bene e a lungo se alimentate convenientemente con alghe marine quali Caulerpa e Ulva, oltre alle alghe filamentose che crescono spontaneameqte in acquario. I ricci più comuni e tipici delle acque tropicali in generale e delle formazioni madreporiche in particolare appartengono al genere Diadema: si tratta di ricci provvisti di aculei cavi e spesso lunghissimi, fino a cm 30, in grado di infliggere ferite piuttosto dolorose a chi incautamente li calpesti o li maneggi. Eppure alcuni pesci della famiglia Balistidae riescono ugualmente, con pazienza e grande abilità, a trovare un varco tra la fitta selva di micidiali aculei e a tranciare con la robusta dentatura la rigida teca del riccio. Altri pesci invece trovano riparo tra gli aculei di questi echinoidi.

Tutti i ricci descritti possono essere allevati con successo in acquari non ampi ma ricchi di alghe, l'illuminazione può essere anche intensa purché la vasca sia ben provvista di anfratti e piccole grotte ombreggiate: oltre alle alghe è possibile somministrare di tanto in tanto anche verdura bollita e mangime vegetale in fiocchi. I pesci balestra come già ricordato, sono i maggiori nemici dei ricci, ma potenzialmente possono esserlo anche altri pesci provvisti di dentatura robusta, quali tetraodontidi e cantigasteridi: anche alcune grosse stelle di mare assalgono a volte i ricci, che dunque non sono così «inespugnabili» come si crede.



OFIUROIDEI


Gli Ofiuroidei sono comunemente considerate come stelle di mare un po' particolari, in quanto al pari delle stelle sono costituite da un corpo centrale sul quale si innestano alcune braccia: in realtà le differenze tra le due classi sono piuttosto nette, e alcune sono facilmente evidenziabili anche ad un esame esterno superficiale. Le braccia, ad esempio, sono sempre lunghissime rispetto al corpo, serpentiformi, appuntite, e soprattutto prive di solco ambulacrale: i pedicelli, quando presenti, non servono alla locomozione, quanto piuttosto a facilitare la percezione e la presa del cibo.


Le ofiure si spostano grazie ai tentacoli assai mobili e prensili, che sfruttano come appiglio su ogni asperità e tipo di oggetto sommerso: l'efficacia di un tale modello di locomozione e di ancoraggiorisulta maggiore di quel che si pensi, visto che le ofiure possono essere considerate gli echinodermi più veloci. Gli ofiuroidei sono organismi in maggioranza sciafili, di abitudini prettamente notturne o crepuscolari.


Di giorno si rifugiano in genere sotto i sassi e tra gli anfratti, lasciando spesso fuoriuscire le lunghe braccia sensibili. Per mezzo di tali braccia le ofiure si procurano il cibo (praticamente qualsiasi sostanza animale che entri nel loro stomaco), portandolo rapidamente alla bocca: è difficile osservare animali più voraci e insaziabili di certe ofiure, che in acquario si abituano ben presto ad uscire allo scoperto in piena luce non appena si introduce del cibo nella vasca.

Tutte le ofiure mostrano capacità rigenerative sorprendenti, specie per la rapidità con cui avvengono: quasi tutte hanno la capacità di autotomizzarsi delle braccia, che restano facilmente tra i denti o tra le braccia dell'aggressore mentre l'ofiura si allontana rapidamente. Purtroppo, nonostante si tratti di organismi assai vitali e adattabili, le ofiure vengono raramente importate dai mari tropicali: spesso però è possibile entrare in possesso di piccoli esemplari nascosti all'interno di «rocce vive» o di scheletri di madreporari vivi, in questo caso le ofiure possono vivere a lungo rendendosi utili anche come «spazzini».



OLOTUROIDEI


Gli Oloturoidei sono noti come «cetrioli di mare», per la loro forma caratteristica che ricorda abbastanza da vicino quella del comune ortaggio. Nelle oloturie bocca e ano sono situati sullo stesso asse, l'una opposta all'altro, alle due estremità del corpo: i pedicelli ambulacrali sono disposti a file lungo il corpo, in molte forme essi hanno importanza minima o nulla, in altre servono principalmente a fissare l'animale al substrato.


I pedicelli boccali delle oloturie sono trasformati in tentacoli: nelle specie planctofaghe itentacoli possono essere molto ramificati, di aspetto piumoso, mentre in quelle detritivore, che si nutrono ingerendo grandi quantità di fango e sabbia, i tentacoli sono in genere piuttosto ridotti. Un fenomeno tipico di molti oloturoidei è la cosiddetta eviscerazione: la cloaca o la bocca si lacerano, e vengono espulsi all'esterno tentacoli, intestino, gonadi e altri organi interni.


Tale fenomeno sembra essere riscontrabile anche in natura, comunque in acquario è osservabile per lo più in individui costretti a vivere in condizioni stressanti (ad esempio sovraffollamento) o in acque inquinate: alcune oloturie espellono invece dalla cloaca, se disturbate o aggredite, dei lunghi filamenti vischiosi (tubuli di Cuvier) che si attaccano all'aggressore mettendolo spesso in grave imbarazzo, consentendo così all'oloturia di allontanarsi.

In ogni caso, gli organi interni espulsi all'esterno vengono rigenerati senza problema dall'animale. Le oloturie non hanno generalmente colori vivaci, quelli più comuni sono il marrone e il grigio nelle varie tonalità: alcune specie tropicali sono però molto attraenti, e tra queste merita un cenno particolare Paracucumaria tricolor, ampiamente diffusa nell'Oceano Indiano. Questa oloturia è tipicamente planctofaga, ed è provvista di alcuni tentacoli arborescenti, molto ramificati, ricoperti da una sostanza mucillaginosa con cui cattura microorganismi planctonici di ogni genere: trascorre a volte anche diversi giorni nello stesso punto, ancorata a rami di madrepore (es. Acropora) per mezzo dei pedicelli ambulacrali adesivi. Malgrado le sue abitudini tutt'altro che eccitanti, Paracucumaria tricolor è uno degli ospiti più indicati per l'acquario di invertebrati, purché allevato in compagnia di specie tranquille e poco mobili: alcuni esemplari sono vissuti oltre due anni nello stesso acquario, ma sono segnalati casi di sopravvivenza ancora più notevoli. In acquario questa oloturia si fissa generalmente su madrepore ed altri oggetti sommersi: se il movimento dell'acqua nella vasca non è sufficiente, spesso si sposta in prossimità del rientro del filtro, oppure vicino al flusso di bollicine prodotto da una pietra porosa.

Durante il giorno rimane spesso chiusa, assumendo le forme più strane (da una «palla» a uno sfilatino allungato) a seconda della quantità di acqua immagazzinata: verso sera, a luci spente, estroflette i tentacoli variamente colorati, sui quali potranno essere spruzzati i cibi normalmente consigliati per gli invertebrati filtratori (liquifry, latte di cozza, naupli di artemia, plancton liofilizzato, copepodi, colture di infusori ecc.). Occorre però somministrare il cibo con molta cautela, in quanto l'oloturia è facilmente spaventabile e ritrae immediatamente i tentacoli se si sente disturbata: è consigliabile, come per tutti gli Organismi planctofagi, interrompere il filtraggio e l'aerazione durante la somministrazione del cibo. Per avere la consapevolezza che l'animale sta effettivamente mangiando basta osservarlo: i tentacoli con cibo inglobato vengono inseriti nella bocca, con la loro estremità ramificata, e successivamente estroflessi nuovamente all'infuori, ripuliti da tutte le particelle alimentari che vi avevano fatto presa. Dopo un periodo di acclimatazione le oloturie tropicali si aprono a tratti anche di giorno in acquario, mostrando in pieno i loro tentacoli variamente colorati, ma attenzione: i vivaci colori possono sbiadire rapidamente se l'oloturia viene costretta ad un'alimentazione troppo monotona.



CONCENTRICICLOIDEI


I concentricicloidei sono stati scoperti di recente (1986) e pertanto ben poco è noto riguardo alle loro caratteristiche. Sono rappresentati da organismi di forma discoidale e sono piuttosto sottili e privi di appendici, per quanto siano presenti spine lungo il margine del loro corpo.

Unici tra gli echinodermi, dispongono di un idrocele dotato di un canale anulare duplice. Inoltre i pedicelli sono organizzati ad anello lungo il profilo laterale del corpo, piuttosto che in corrispondenza di solchi che si dipartono con andamento radiale dalla porzione corporea centrale.

Si rinvengono su materiale legnoso in decomposizione nelle acque oceaniche profonde. Sembra che la loro dieta sia a base di batteri, che digeriscono e assorbono sia tramite una struttura membranosa di rivestimento della loro superficie orale sia attraverso una porzione specializzata del canale alimentare, conformata come un sacco mediocremente dilatato.