Con il termine “estinzione”, in biologia si intende la completa e definitiva scomparsa di una specie dal sistema ecologico globale, ossia dalla biosfera. Si tratta di un fenomeno naturale che ha segnato l’intera storia della vita, al punto che gli studiosi ritengono che gli organismi che oggi popolano il pianeta siano soltanto un’esigua frazione di quelli esistiti in epoche passate. L' estinzione è contrapposta alla speciazione, il processo opposto per cui una nuova specie nasce a partire da una preesistente. Di per sé l’estinzione naturale di una specie non va interpretata come un evento negativo (né ovviamente come un evento positivo), ma deve essere considerata semplicemente per ciò che è, ovvero un’espressione dell’evoluzione biologica. Le grandi estinzioni della storia, infatti, sono state accompagnate dalla formazione di nuove specie che hanno dato continuità e vigore alla diversità della vita. L’estinzione è definita come un processo evolutivo che porta alla scomparsa di un taxon (genere, specie, sottospecie) o di una popolazione. Quando una specie si estingue il suo patrimonio genetico - e la speciale ed unica combinazione di geni che essa possiede - sono definitivamente perduti. Dal punto di vista evolutivo l’estinzione si verifica anche indipendentemente da elementi perturbativi di grande portata. Una specie può anche evolversi in un’altra specie (speciazione) in risposta a piccoli cambiamenti ambientali o in seguito a mutamenti casuali nel pool genico. In ogni caso l’estinzione - come la speciazione - fa parte del naturale processo evolutivo dei viventi. E’ l’attuale tasso di estinzione che non è naturale. Normalmente si distinguono due tipologie di estinzioni. Vi sono infatti le estinzioni “di fondo”, che corrispondono a quella lenta e per noi impercettibile tendenza del mondo vivente a trasformarsi in modo costante. Vi sono poi le estinzioni “episodiche”, che riflettono le massicce e concomitanti morie di specie che vengono scatenate da rapide alterazioni dell’ambiente. In generale, le estinzioni che hanno contribuito maggiormente ai drastici mutamenti del quadro floristico e faunistico della storia del nostro pianeta sono state quelle del secondo tipo. Alcuni eventi estremi che si sono verificati su ampia scala nel corso delle ere geologiche, come i cambiamenti del clima o gli impatti del nostro pianeta con comete e asteroidi, si sono tradotti in perturbazioni ambientali così radicali da non dare molte possibilità di scampo a una moltitudine di organismi. In diversi momenti della storia della Terra, questi fenomeni hanno rappresentato dei fattori limitanti molto severi per la sopravvivenza delle specie, arrivando talora a decimare la biodiversità di intere regioni geografiche e determinando le cosiddette “estinzioni di massa”. Le specie considerate più "fragili", che cioè sono potenzialmente più esposte al pericolo di estinzione sono quelle più specializzate, che occupano particolari e ristrette nicchie ecologiche, per esempio perché si cibano esclusivamente di un particolare cibo, come il panda, o perché vivono solo su certe particolari isole, come le tartarughe giganti delle isole Galapagos. All'altro estremo, specie onnivore estremamente diffuse e adattabili, come i topi, le mosche, gli scarafaggi e l'uomo, non corrono rischi di estinguersi a meno di eventi straordinari su scala planetaria.
Un'estinzione non comporta necessariamente la scomparsa della vita; in genere si tratta della scomparsa di un gruppo limitato di organismi, a favore di un gruppo di animali (o vegetali) più agguerrito e resistente, che ne prende il posto. Una delle variabili più importanti in questo avvicendamento di famiglie, generi e specie biologiche è l'adattamento alle modificazioni ambientali. In termini puramente ecologici, ciò che provoca l’estinzione di una specie è la distruzione del suo habitat e l’impossibilità di trovarne un altro. Quando in un ambiente cambiano gran parte delle caratteristiche fisiche e chimiche con una rapidità eccessiva rispetto ai tempi dell’adattamento biologico, gli organismi che vi abitano muoiono, salvo il caso in cui riescano a migrare. Le cinque grandi estinzioni biologiche del passato sono state provocate da dinamiche ecologiche non dipendenti dall’impatto umano (anche per il fatto che la comparsa di Homo sapiens è notevolmente successiva) che hanno avuto proprio queste caratteristiche. Per esempio, i biologi ritengono che le due estinzioni del tardo Ordovociano e del tardo Devoniano siano state il risultato di un violento mutamento nelle condizioni del clima, mentre interpretano l’estinzione del tardo Cretaceo come l’effetto della collisione del nostro pianeta con uno o forse due grandi meteoriti: è noto che queste collisioni ebbero ripercussioni tali sugli equilibri biologici globali da determinare la scomparsa dei dinosauri e molti altri organismi.
Mentre molti ricercatori stanno ancora cercando di capire che cosa ha provocato le varie estinzioni di massa che sembrano essersi verificate sul nostro pianeta, un team dell’Università di Greenwich è giunto a una conclusione sconcertante. Andy Gale, con alcuni colleghi, ha infatti avanzato sulla rivista "Paleobiology" l’idea che le estinzioni di massa in realtà non si siano mai verificate. È idea comune che sulla Terra si siano avute almeno una dozzina di estinzioni di massa, la peggiore delle quali spazzò via l’84 per cento delle specie viventi sul nostro pianeta. "Le grandi interruzioni nella registrazione fossile della vita sulla Terra - ha spiegato Gale - sono state spesso citate come prove delle estinzioni di massa. Ma ci sono altre spiegazioni per questa mancanza di fossili e non puntano all’annichilazione catastrofica di numerose specie." Durante il Cretaceo (da 146 a 65 milioni di anni fa), dominato dai dinosauri, vi furono periodi di intenso riscaldamento globale che fecero salire drasticamente il livello dei mari, tanto che gli oceani inondarono l’Europa, trasformandola in un arcipelago di piccole isole. Questo forzò le specie marine che vivevano nelle acque poco profonde e quelle terrestri ad abbandonare i loro habitat. Una volta che il livello dei mari scese di nuovo, queste specie tornarono indietro. L’abbassamento dei mari espose però le rocce sedimentarie formatesi nel frattempo, che contenevano i fossili dei periodi caldi, all’erosione da parte dei venti, della pioggia e del ghiaccio. Secondo Gale, un ottimo esempio di pseudoestinzione si può vedere sulle scogliere di Dover. Molti degli organismi marini che vivono in acque basse scomparvero circa 100 milioni di anni fa, per poi ritornare qualche milione di anni dopo, quando il livello degli oceani si abbassò di nuovo. Inizialmente si potrebbe pensare a un’estinzione che spazzò via il 70 per cento delle specie viventi, ma poi si vede che molte di esse ricomparvero in seguito. Se si analizzano attentamente i fossili si vede quindi che le specie realmente estinte sono solo il 17 per cento, che rappresenta uno standard normale.
LE RANE ARLECCHINO Sono piccole, ricche di colori e povere di futuro. Le rane arlecchino stanno scomparendo. Muoiono disidratate, con le pelle mangiata da un fungo che le ricopre come un sudario, bloccando la traspirazione. Assieme ad altre migliaia di specie, si estinguono travolte dalla violenta accelerazione dell'effetto serra che sta trasformando il normale avvicendamento delle forme di vita in un buco nero che inghiotte la biodiversità del pianeta.
Questa piccola mutazione climatica è bastata a far scomparire due terzi delle 110 specie di rane arlecchino dell'America latina in un arco di tempo estremamente ridotto. Il fenomeno fu segnalato dai biologi per la prima volta nel 1990, e in appena 16 anni il problema è esploso finendo per travolgere buona parte delle popolazioni di rane, tritoni e salamandre. Secondo i dati dell'Iucn (International Union for the Conservation of Nature and Natural Resources), ad essere a rischio ormai è l'intera classe degli anfibi: su un totale di 5.700 specie, ben 1.800 sono in via di estinzione. "I cambiamenti climatici, provocati principalmente dal consumo di combustibili fossili, sono diventati la principale minaccia per la sopravvivenza di molte specie", osserva Massimiliano Rocco, responsabile del settore Traffic del Wwf. "E purtroppo questa non è una tendenza arginabile nel breve periodo. Si potrebbe però intervenire con efficacia immediata per bloccare almeno le altre concause dell'estinzione di massa che ci troviamo a fronteggiare: la perdita degli habitat, determinata soprattutto dalla deforestazione, e il commercio illegale di specie protette. Entrambe hanno effetti drammatici nell'accelerazione della scomparsa di specie. Ad esempio il rospo dorato del Costa Rica ha pagato un prezzo molto caro per la sua bellezza che lo rendeva preda ambita dei collezionisti disposti a tutto: è stato avvistato per l'ultima volta tre anni fa. E in Madagascar la grande diversità di rane mantella, che si erano andate radicando nelle valli, nei laghetti, nei boschi planiziali mantenendo il loro specifico corredo genetico, ha subito un colpo durissimo per colpa della deforestazione che ha cancellato buona parte degli habitat naturali". Quello che preoccupa maggiormente è la progressiva accelerazione del mutamento climatico. La temperatura sale a una velocità che per molte specie è insostenibile: non riescono a sviluppare processi di adattamento ed escono di scena.
La sesta estinzione di massa potrebbe essere senza precedenti, sia per ampiezza che per velocità. Gli scienziati stimano che nel corso dei prossimi decenni potremmo perdere il 60% delle specie viventi. La differenza tra questa estinzione e le precedenti sta' nella “causa”, questa volta non si tratta di asteroidi o glaciazioni…questa volta è una sola specie a minacciare tutte le altre: “l'uomo”.
DELLA VITA SULLA TERRA
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