IL GRADUALISMO
Uno scorrere continuo che modifica gli organismi, oppure un susseguirsi di eventi catastrofici che cambiano radicalmente il mondo? Sono queste le due visioni del tempo nella storia del pensiero biologico fino all'affermarsi del gradualismo di Darwin, messo di nuovo in discussione dalla teoria degli equilibri punteggiati.
La biologia è una scienza giovane ma che più ha avuto, e ha tuttora, un impatto diretto sulla nostra vita. A partire dal 1800, il suo sviluppo è stato enorme, richiedendo l'apertura di nuovi campi di indagine scientifica e di riflessione filosofica. È stata inoltre necessaria una forte integrazione tra campi del sapere diversi, in particolare tra scienze dei viventi e scienze della terra, in continuo scambio di ipotesi e verifiche, così da arrivare ad un quadro generale della storia della terra e dei suoi abitanti.
La teoria dell'evoluzione, da Lamarck in poi, è stata al centro di questo processo, ed è ancora oggi il riferimento all'interno del quale il dibattito è maggiormente vivo, dato anche il suo portato filosofico particolarmente imponente. Una riflessione storica, anche breve, può far capire come nel corso di due secoli, temi comuni siano presenti e mai sopiti, da Lamarck fino a Gould, passando attraverso Cuvier, Lyell, Darwin, e i darwinisti moderni. Uno di questi temi è il tempo, che nella storia moderna delle scienze della terra e del vivente, ha spesso rappresentato un terreno di scontro fra diverse concezioni. I contrasti si sono sviluppati in almeno due forme.
La prima discussione è quella che si è interessata della reale estensione temporale della storia del nostro pianeta: la Terra ha solo poche migliaia di anni, come ancora oggi sostengono i fondamentalisti cristiani (creazionisti, testimoni di Geova, etc. ); o è sempre esistita, come nella metafisica aristotelica; o ancora, è "nata" qualche miliardo di anni fa, come sostenuto dalla scienza contemporanea? Tale questione ormai non è più in discussione (a parte qualche tentativo maldestro da parte di chi ha una particolare antipatia per Darwin, da quando la scienze della terra sono riuscite a spiegare in modo soddisfacente (ancora incompleto, ma comunque scientificamente valido) come si è formato il nostro pianeta, i continenti, e soprattutto da quando la teoria dell'evoluzione ha chiarito come le poche migliaia di anni della cronologia biblica non fossero sufficienti a determinare la diversità attualmente presente nel mondo organico. Fu infatti l' opera "L'origine delle specie" (1859) il punto di svolta che fece definitivamente crollare ogni tipo di credenza in un'origine recente della Terra e del genere umano, portando a quella che è stata definita "la morte di Adamo".
Contemporanea a questo dibattito ormai sopito, vi è un'altra questione che si intreccia con la prima, pur restando ancora attuale, e riguarda la forma che diamo al tempo: cioè, quale sia la concezione del tempo come dimensione sottesa nelle teorie scientifiche. È, il tempo, una linea geometrica piatta, sulla quale vengono fissati i diversi eventi della storia, così che ogni punto risulti uguale agli altri? Oppure non è affatto lineare, e nel tempo vi sono "istanti" differenti gli uni dagli altri?
Se in fisica il tempo viene tradizionalmente considerato una freccia direzionata "passato-presente-futuro", sulla quale ogni punto della freccia è identico ai suoi vicini per quantità e qualità, nelle scienze biologiche e geologiche le diverse teorie che sono state di volta in volta avanzate sottintendono visioni completamente differenti l'una dall'altra. Quando Lamarck propose la prima teoria dell'evoluzione biologica, si trovava di fronte un avversario, non solo intellettuale, che pensava il tempo in maniera assolutamente diversa. Se il naturalista francese pensava il tempo come un continuo scorrere grazie al quale si modificano gli organismi, Georges Cuvier lo immaginava punteggiato da catastrofi universali che cambiavano radicalmente non solo il mondo organico, ma anche quello inorganico. Di conseguenza, periodi di stabilità erano interrotti da eventi la cui natura era in parte "straordinaria": l'ultimo di questi eventi fu probabilmente il diluvio universale.
Fino ai primi dell'Ottocento, Cuvier fu sicuramente il geologo e paleontologo di maggior seguito, grazie alle sue grandissime capacità nel campo dell'anatomia comparata e al prestigio accademico che aveva raggiunto. Il catastrofismo aveva inoltre il supporto di alcuni ambienti ecclesiastici, quelli più disposti ad una lettura non letterale della Bibbia. Vi erano comunque anche posizioni più sfumate, nelle quali la natura poteva avere diversi ordini di senso, e quindi anche il tempo poteva avere diverse forme e significati. Ipotesi del genere erano spesso legate a visioni della natura non puramente scientifiche, pur provenendo anche da autori affermati e rispettati nella comunità scientifica del tempo (per esempio, Faujas de Saint-Fond, primo professore di geologia in Francia).
Il trasformismo di derivazione lamarckiana ebbe invece un minor numero di seguaci, anche se le relative opere venivano largamente lette in tutta Europa, e rimase minoritario fino a Darwin. In geologia, invece, il catastrofismo perse terreno sin dalla pubblicazione del primo volume dei "Principles of Geology" di Charles Lyell (1830), che riuscì finalmente a elaborare una teoria geologica in grado di spiegare in termini uniformisti i dati disponibili, ipotizzando i meccanismi che avrebbero potuto creare le stratificazioni presenti nella crosta terrestre, con l'unica condizione che vi fosse stato abbastanza tempo. Il suo uniformismo era spinto alle estreme conseguenze: non solo la storia del pianeta era uniforme nel suo svolgersi (e quindi tutto ciò che era accaduto nel passato andava interpretato come effetto di cause ancora oggi operanti, con la stessa intensità), ma la stessa storia della vita era uniforme. Per questo, Lyell difese per oltre trent'anni una visione della natura completamente stabile, in cui non vi era traccia di progresso. Il fatto che i dati paleontologici mostrassero una graduale complessificazione delle forme organiche era per lui solo un'illusione provocata dalla nostra imperfetta conoscenza degli strati geologici, nei più profondi dei quali avremmo potuto finalmente trovare le tracce fossili anche degli animali cosiddetti "superiori". Il suo tempo è quindi molto simile a quello delle scienze fisiche: una distesa uguale in tutti i suoi punti, che non ha alcuna direzione particolare, ma anzi è in una continua oscillazione ciclica.
Il testo " Principles of Geology" fu comunque una delle letture più importanti per Darwin e l'uniformismo geologico di Lyell uno dei fondamenti dello sviluppo del suo pensiero. L'uniformismo biologico teorizzato dal geologo inglese era però un'aggiunta pregiudiziale che non trovava conferma nei dati. A questo riguardo Darwin capì come non fosse necessario postulare la stabilità completa del "Sistema Natura", ma piuttosto ipotizzò una causa, passata, presente, futura, del cambiamento organico: la selezione naturale. Questo principio si basa quindi sul graduale cambiamento degli organismi in seguito al mutare delle circostanze ambientali e alla variazione casuale degli individui. Darwin si impegna infatti a rispettare l'antico detto "natura non facit saltus", che viene però adottato come pregiudizio epistemologico, non solo come necessità metodologica. La conseguenza è l'estremo gradualismo della sua teoria che, nella sua forma originaria, prevede l'evoluzione lenta e costante di tutta una popolazione contemporaneamente. Per questo motivo, i dati fossili ci dovranno restituire una catena evolutiva non interrotta di specie, fino ad arrivare a quelle attualmente esistenti, anche se l'imperfezione della nostra conoscenza e la difficoltà del processo di fossilizzazione impediscono la ricostruzione filogenetica completa.
Con Darwin si è stabilito un paradigma gradualista che fino agli anni 70 del nostro secolo è stato dominante. Dopo un'eclissi all'inizio del Novecento, dovuta principalmente alla mancanza di teoria dell'ereditarietà un'accettabile, la Sintesi Moderna (darwinismo + genetica mendeliana ha fornito una teoria di più ampio respiro che fa da sfondo a tutta la biologia, e che prevede un tempo evolutivo scandito da piccole mutazioni selezionate su tempi molto lunghi. L'evoluzione graduale porta quindi ad una dimensione temporale che non ammette differenze, al cui interno, lavora meccanicamente la selezione naturale, istante per istante, giorno dopo giorno.
Nel 1972, due paleontologi (Niles Eldredge e Stephen J. Gould,) pubblicano un articolo destinato a suscitare molto clamore e discussioni: "Punctuated Equilibria: An alternative to Phyletic Gradualism". i due autori, sostengono che il gradualismo filetico, cioè il darwinismo della sintesi, sia frutto di un pregiudizio intepretativo che, se giustificato al tempo di Darwin, oggi non può più esserlo. La posizione deve quindi essere meno categorica, e il darwinismo deve essere integrato con meccanismi evolutivi diversi. Tale innovazione è resa possibile grazie a una nuova interpretazione dei dati fossili: questi mostrano infatti delle lacune incolmabili fra le diverse specie, non attribuibile solamente all'imperfezione della nostra conoscenza paleontologica. Inoltre, la maggior parte delle specie di cui si trovano tracce fossili, non mostrano evoluzione significativa per tutta la durata della loro esistenza.
Per risolvere questi problemi Eldredge e Gould propongono di "leggere" in maniera letterale i dati fossili: se non ci sono forme, è perché queste non si sarebbero fossilizzate; se le specie non mostrano evoluzione, è perché non si sarebbero evolute. Scaturisce quindi una storia naturale in cui lunghi periodi di stasi (o equilibrio) delle specie sono intervallati (o punteggiati) da brevi periodi di rapida evoluzione: i cosiddetti equilibri punteggiati. Grazie a questa nuova interpreatzione si spiega perché manchino le forme di transizione: semplicemente, si sono evolute in tempi troppo brevi per poter lasciare tracce fossili. Oppure, si tratta di meccanismi speciativi che riguardano popolazioni estremamente limitate, che avrebbero quindi avuto pochissime probabilità di lasciare prove paleontologiche. Abbiamo quindi a disposizione un'interpretazione complementare a quella gradualista che, senza pretese di esclusività, si può affiancare alle descrizioni evolutive tradizionali.
Un tale avvicinamento richiede però la capacità di intrecciare diverse cognizioni temporali, sovrapponendole l'una all'altra. Gli equilibri punteggiati infatti spiegano in maniera nuova il lavoro della selezione naturale con lo scorrere del tempo. Mentre nell'interpretazione del gradualismo la selezione lavora lentamente e costantemente, nella visione punteggiata il lavoro della selezione naturale è concentrato in brevi periodi di intensa attività, alla fine dei quali nascerebbe una nuova specie. Nel resto del tempo, la selezione funzionerebbe come forza stabilizzatrice, contribuendo a mantenere in equilibrio il "pool" genetico della popolazione.
Ecco quindi emergere un tempo in cui vi sono "istanti" più importanti, momenti in cui la selezione e gli altri meccanismi evolutivi modificano qualitativamente la popolazione. Non si può però paragonare questa teoria al catastrofismo ottocentesco, perché mentre quello doveva in buona parte introdurre un salto qualitativo anche nelle cause del cambiamento, negli "Equilibri Punteggiati" non è necessario introdurre alcun tipo di incognita.
Piuttosto, agli " Equilibri Punteggiati" si può associare un approccio epistemologico diverso alle scienze naturali. Il darwinismo della nuova sintesi si è infatti avvicinato molto di più alle scienze fisiche. Il loro tempo è sempre uguale, monotono: come si usa l'oscillazione periodica di un atomo per misurare il tempo tramite un orologio atomico, così le mutazioni genetiche periodiche, costanti, continue, servono per datare la comparsa di una specie. È però possibile leggere la natura in modo diverso, storico-narrativo, mettendo in evidenza, piuttosto che la regolarità di alcuni processi, la singolarità di alcuni eventi. L'evoluzione biologica può quindi essere raccontata secondo modalità narrative storiche, con all'inizio uno scientifico c'era una volta... che mette l'accento su eventi particolari, i punti di svolta nella storia della vita sulla Terra. Da una parte, quella tradizionale, l'evoluzione è paragonata ad un algoritmo che continua a svolgere meccanicamente i suoi compiti, e quindi il tempo diventa tempo-macchina, il tempo necessario perché un calcolatore svolga una determinata sequenza di istruzioni. Nella visione opposta, la selezione naturale è indissolubilmente legata a eventi esterni, casuali e imprevedibili, che ne regolano l'azione così come possono farlo cambiamenti ambientali locali e improvvisi (il tifone tropicale che crea uno stagno isolato all'interno del quale si sviluppa una particolare specie di zanzare). Il suo cammino non si può prevedere, e soprattutto non vi è la certezza che riavvolgendo il film della vita (nella metafora usata da Gould, la successiva proiezione sia uguale a quella precedente.
Queste due visioni rappresentano quindi due facce della stessa medaglia, ineliminabili e complementari: la necessità e la contingenza. La a-temporalità delle leggi scientifiche e lo sviluppo dei processi naturali hanno tempi diversi, andamenti diversi, regolari ed inanimati i primi, imprevedibili e sempre diversi gli altri. È quindi il tempo uno dei confini lungo cui muoversi per mantenere la biologia al riparo dai diversi riduzionismi che vorrebbero riportarla semplicemente alle sue componenti chimico- fisiche. L'inorganico rimane simile a se stesso, l'organico nasce, vive, si riproduce, muore: non si possono confondere due entità così diverse. Uno è il tempo della materia inerte, l'altro è il tempo del vivente! © 1999-2008 G.L.Pesce
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