"Species tot sunt diversae, quot diversas formas ab initio creavit infinitum Ens"

(Linneo, Systema Naturae)



Osservando il mondo che ci circonda appare subito evidente come la natura esibisca una stupefacente varietà ed abbondanza di forme viventi: microorganismi, funghi, animali, piante, parassiti, ciascuno perfettamente integrato ed adattato all'ambiente in cui vive. Attualmente sul nostro pianeta si contano almeno 10 milioni di specie, moltissime altre, in alcuni casi interi ordini e famiglie, si sono estinte nel corso delle diverse ere geologiche, e numerosi nuovi taxa vengono continuamente scoperti in ambienti e regioni poco esplorate nel passato.

Da tempi molto antichi l'uomo ha rivolto il proprio interesse e la propria curiosità scientifica agli animali e alle piante con cui condivideva gli stessi ambienti di vita, cercando di dare loro un preciso nome onde poterli facilmente riconoscere ed identificare. Successivamente si è anche preoccupato di elaborare un sistema per classificarli secondo una ben precisa gerarchia di raggruppamenti, basati essenzialmente su somiglianze morfologiche, e nei quali venivano considerati come insiemi separati quei gruppi di organismi in cui le somiglianze risultavano più numerose e significative delle relative differenze.

Aristotele fu uno dei primi grandi naturalisti a porsi questo problema e a comprendere che per poter classificare gli organismi viventi in gruppi era necessario ricorrere a più caratteri. In caso contrario, infatti, l'esame di uno solo, o di pochi caratteri, porterebbe ad interpretazioni erronee, talora paradossali. Si immagini, ad esempio, di considerare la presenza di ali come unico carattere sufficiente per poter identificare un dato gruppo di organismi: si commetterebbe, evidentemente, l'errore di includervi anche forme animali molto diversi tra loro, quali gli uccelli, gli insetti ed i pipistrelli, ed escludere allo stesso tempo dagli insetti tutti quelli sprovvisti di ali!

Linneo (1707-1778) per primo immaginò una scala gerarchica di gruppi di animali e piante quale sarebbe stata a suo avviso creata da un Ente Divino e nella quale si possono già riconoscere quelle che sono, almeno in parte, le categorie sistematiche oggi accettate dalla maggior parte dei botanici e degli zoologi moderni. In particolare il sistema di Linneo comprendeva le seguenti categorie sistematiche: regno (animale o vegetale), classe, ordine, genere, specie, ognuna delle quali, procedendo da sinistra verso destra, doveva presentare un numero sempre maggiore di somiglianze e di caratteristiche comuni.

In tempi successivi altre categorie si sono aggiunte al sistema linneano anche se esso, così come concepito dall'autore, resta ancora oggi valido nelle sue linee generali. La maggior parte dei biologi moderni, riconosce, infatti, le seguenti categorie sistematiche: regno- phylum (alcuni botanici e microbiologi usano in alternativa il termine "tipo" o "divisione") - classe - ordine - famiglia - genere - specie - popolazione, ciascuna delle quali può essere ulteriormente suddivisa in categorie più o meno comprensive; si possono, ad esempio, immaginare a livello di ordine altre categorie quali il superordine ed il sottordine, e tali suddivisioni possono riconoscersi a ciascun livello del sistema.

Per Linneo e per altri naturalisti dell'epoca, come pure per scienziati di epoca più recente, quali il naturalista americano Agassiz, la natura gerarchica dei sistemi viventi ed i rapporti tra le diverse specie dovevano necessariamente riflettere l'ordine dovuto all'opera creativa di un Ente Superiore.

La teoria di Lamarck e successivamente, in maniera più convincente, quella di Darwin e dei neodarwinisti, abolì questo punto di vista, suggerendo che l'ordine naturale doveva necessariamente essere il risultato di un processo evolutivo continuo, determinato essenzialmente dalla selezione naturale. In particolare Darwin, nella sua opera fondamentale "L'Origine delle Specie", di fatto ha per primo riconosciuto la sistematica evolutiva, sostenendo che un sistema vivente veramente naturale deve necessariamente riflettere il cammino dell'evoluzione, cioè la filogenesi tra i diversi componenti il sistema stesso.

I biologi moderni, rifacendosi appunto alle teorie darwiniane, considerano la natura gerarchica dei sistemi viventi come conseguenza di un ordine che si basa su parentele comuni ed affinità evolutive tra le diverse specie. In tutti gli schemi, comunque, l'unità fondamentale dei sistemi viventi è la specie: per Linneo e per i Creazionisti, in quanto essa rappresenterebbe l'unità creativa dell'Ente Superiore, per gli evoluzionisti moderni in quanto rappresenta l'unità sulla quale opererebbe la selezione naturale.

Non è, tuttavia, agevole dare una definizione di specie che risulti valida ed applicabile in tutti i casi. Esistono a tale proposito due approcci distinti al problema: l'uno considera un "tipo" di riferimento impiegato come termine di confronto per stabilire se un individuo, o più individui, appartengono o meno alla specie rappresentata dal "tipo campione" (concetto tipologico di specie); l'altro prende in considerazione le possibilità riproduttive tra le diverse popolazioni e gli individui che costituiscono una specie (concetto biologico di specie). Il primo, anche se risulta in molti casi applicabile, risente indubbiamente della staticità del "tipo" di riferimento e risulta evidentemente inadeguato ed inconciliabile con la moderna visione dinamico-evolutiva del mondo vivente.

Inoltre, gli individui che costituiscono una specie o una popolazione, animale o vegetale, differiscono per molti aspetti, potendo presentare nella maggior parte dei casi una serie di variazioni, da una taglia minore ad una maggiore, da un colore chiaro ad uno più scuro, da una particolare morfologia di dati organi ad un'altra, da un peso minimo ad uno massimo, etc.; é, cioè, possibile ordinare tutti i caratteri che contraddistinguono una specie in serie più o meno continue: una serie che riguardi il colore, una le dimensioni, una il peso, e cosi via. Di conseguenza risulta evidente come uno o pochi tipi "campione" non potrebbero, nella maggior parte dei casi, comprendere l'intera variazione della specie e delle popolazioni che la compongono.

Per tutti i motivi su esposti, la concezione tipologica è stata gradualmente sostituita da una visione più rigorosamente biologica, la quale tiene soprattutto conto degli aspetti oggettivi e naturali della specie. Il concetto biologico di specie, infatti, non prende più in considerazione gli individui, bensì considera come unità morfo-funzionale la popolazione, cioè un complesso di individui tra i quali eiste una completa panmissia ed un flusso genico aperto. In tal modo la specie viene definita, non più come un insieme di individui, bensì come un "complesso di popolazioni interfeconde tra loro nel tempo e nello spazio e riproduttivamente isolate da tutte le altre". Una tale definizione evidentemente rispecchia più fedelmente la realtà naturale in quanto tiene conto dell'intera variabilità sia intrapopolazionistica che tra le popolazioni che costituiscono una specie.

Da un punto di vista biogeografico la specie viene definita come "un complesso di popolazioni naturali la cui unità deriva dalla sua origine monofiletica. Tale unità si mantiene nei limiti spaziotemporali nel cui ambito le sottounità discrete che in ogni momento lo formano (gli individui) ne mantengono la coesione riproduttivo-genetica interna e l' indipendenza del pool genico, in conseguenza di ciò interagisce in modo unitario con l' ambiente". (da: Zunino & Zullini: Biogeografia. 2004).

Anche il concetto biologico di specie presenta, tuttavia, dei limiti operativi: esso, infatti, non è applicabile ad organismi con riproduzione asessuata (agamica), come la maggior parte dei batteri, molte muffe e numerosi invertebrati (protozoi, poriferi, cnidari, etc.), come pure a organismi a riproduzione partenogenetica obbligata. In questi casi debbono essere necessariamente applicati criteri diagnostici alternativi: morfologici, citologici, genetici, fisiologici, ecologici, etologici, etc. Una ulteriore complicazione potrebbe insorgere, inoltre, per il fatto che negli incroci tra gruppi diversi di individui, in particolare nel regno vegetale, si possono realizzare tutti i possibili gradi intermedi tra la totale fecondità e la assoluta sterilità, per cui soffermandosi all'esame di una sola o di poche generazioni potrebbe in molti casi risultare dubbia la relativa attribuzione specifica. Si deve, inoltre, porre l'accento sul fatto che il mantenimento di una specie non sempre necessita di una barriera assoluta di sterilità nei confronti delle altre; l'importante è che se l'ibridazione avviene, essa non si mantenga per tempi lunghi e non coinvolga tutti i membri della specie.

Una diversa difficoltà sorge, inoltre, dalla considerazione che, mentre un tempo la specie veniva considerata "immutabile" nel tempo, attualmente la si considera giustamente come una entità in continua evoluzione, la quale deriva da un' altra specie e che può, nel tempo, generarne a sua volta altre, secondo un processo che va sotto il nome di speciazione.

Una ulteriore ambiguità potrebbe, tuttavia, insorgere per il fatto che due gruppi di popolazioni per un certo tempo considerate conspecifiche potrebbero gradualmente divergere e, poichè tale processo è appunto graduale, non è sempre possibile individuare il momento esatto in cui i due gruppi costituiscono due differenti specie rispetto al momento precedente in cui ne costituivano una sola.

In definitiva, i biologi tendono oggi a considerare la specie come un "fenomeno diversificato" che può essere caratterizzato, morfologicamente e geneticamente, piuttosto che definito nel suo complesso. Una caratterizzazione è che la specie consiste di popolazioni e di individui tra cui le variazioni si sovrappongono e si intersecano in modo tale che non è sempre possibile delineare una netta demarcazione tra loro. Un'altra caratterizzazione è quella morfologica, che risulta soddisfacente in molti casi, meno soddisfacente o inadeguata in molti altri. Infine, la caratterizzazione più ampiamente usata è che una specie consiste di una o più popolazioni di individui tra i quali esiste una potenziale fertilità ed una continuità genetica (flusso genico aperto). Un'ultima considerazione deve essere proposta per le popolazioni e le specie che non vivono nello stesso periodo di tempo (specie allocroniche): evidentemente non è possibile controllare se una specie vivente oggi avrebbe potuto incrociarsi con un'altra della stessa linea filetica ma vissuta in epoche passate ed attualmente estinta.


SIBLING SPECIES - SPECIE GEOGRAFICHE

La vulnerabilità di un concetto di specie che sia puramente morfologico è rivelata dall'esistenza di popolazioni naturali con tutti gli attributi genetici e biologici delle buone specie, ma aventi scarse o nulle differenze morfologiche. Queste popolazioni, che vivono in simpatria, e che da un punto di vista strettamente morfologico sembrerebbero conspecifiche, vennero nel passato definite "specie criptiche" o "razze biologiche". Attualmente si preferisce adottare la terminologia suggerita da Mayr che attribuisce il nome "sibling species" (specie sorelle) a tutte quelle specie criptiche che si nascondono in un'unica morfospecie; si tratta, cioè, di popolazioni naturali, morfologicamente molto simili o addirittura identiche, ma riproduttivamente isolate, riconoscibili tra loro attraverso metodi che non siano esclusivamente morfologici.

Le specie sorelle sono molto importanti in biologia, in quanto consentono di saggiare la validità del concetto biologico di specie rispetto a quelli morfologici e perchè, almeno nell'opinione di molti autori, esse avrebbero avuto una importanza storica nello studio della speciazione. Esse non rappresentano, tuttavia, un fenomeno speciale o un particolare tipo di specie, bensì sono semplicemente specie un tempo confuse tra loro a causa di inadeguati approcci diagnostici.

Le specie sorelle sono distribuite in quasi tutti i principali gruppi zoologici, anche se sembrano essere più frequenti in alcuni gruppi, quali gli insetti, ed in particolare i lepidotteri, i ditteri, gli ortotteri e gli imenotteri. Esempi molto noti di specie sorelle, tra gli insetti, sono quelli riferibili a due specie appartenenti al genere Drosophila, D. Pseudoscurae D. persimilis, le quali si possono distinguere per caratteristiche diagnostiche dei cromosomi delle loro ghiandole salivari, dei genitali maschili e delle dimensioni relative delle ali.

Un altro caso molto conosciuto è quello di sei specie di zanzare del complesso "Anopheles", responsabili della malaria in Europa, che differiscono tra loro per esigenze di spazio durante l'accoppiamento e presentano un gran numero di differenze fisiologiche in correlazione con la distribuzione geografica e con le preferenze ecologiche. Specie sorelle si riscontrano anche nei protozoi, tra i molluschi ed in molti generi di crostacei; tra questi ultimi, nel genere Gammarus (anfipodi), nel genere Jaera (isopodi) e nel genere Calanus (copepodi), nei quali ogni specie è ben caratterizzata ecologicamente e cromosomicamente. Specie sorelle sono note anche tra i vertebrati: nei roditori, nei rettili (serpenti e lucertole) e, con elevata frequenza, nei pesci.

I criteri adottati per mettere in evidenza e riconoscere le specie sorelle si rifanno a differenze di tipo ecologico, etologico e fisiologico. Gli attributi comunemente saggiati a tale riguardo sono:

· differenze biometriche
· riproduzione mediante prove di ibridazione
· abitudini (struttura del nido,impulsi luminosi, scelta dell'habitat, stagione degli amori, etc.)
· vocalizzazione, cioè l'insieme delle differenze nel canto e nelle note di richiamo sessuale
· scelta dell'ospite per le specie simbionti o parassite
· patogenicità delle specie parassite
· il tipo di simbionti, commensali o parassiti ospitati
· prove citologiche
· analisi biochimica (elettroforesi, cromatografia, etc.)

A quest'ultimo riguardo di particolare interesse è l'approccio di Ayala & Powell (1972) e di Avise (1975) che, tra i primi, hanno utilizzato le tecniche elettroforetiche, oltre che per la risoluzione di questo particolare problema, anche per definire il differenziamento subspecifico ed il riconoscimento delle differenti popolazioni che costituiscono una specie. Un concetto analogo a quello di "specie sorelle" è quello di "specie geografiche", cioè di razze locali, che vivono in areali differenti, oggi rivalutate come buone specie a seguito di controlli biologici sul loro effettivo isolamento riproduttivo.


BARRIERE RIPRODUTTIVE INTERSPECIFICHE

Come si è già accennato, negli organismi a riproduzione gametica (sessuale), una specie viene caratterizzata e definita dalla possibilità di incrocio tra i membri che ne fanno parte; tale possibilità comporta l'affermarsi di un "pool genico" simile tra i diversi componenti di una stessa specie e diverso da quello di altre.

Ogni specie tende a conservare nel tempo e nello spazio tale caratteristica: essa, cioè, tende di fatto ad isolarsi riproduttivamente da tutte le altre. Tale isolamento viene garantito da una serie di meccanismi che vanno sotto il nome di "meccanismi isolanti" o "barriere riproduttive" e che rappresentano il più importante insieme di attributi biologici che una specie possiede in quanto, in definitiva, costituiscono i criteri stessi della sua determinazione.

Prima di iniziare la discussione sui vari tipi di meccansimi isolanti, è necessario, tuttavia, un chiarimento sul significato del termine "isolamento". Esso può, infatti, riferirsi a due fenomeni distinti, molto diversi tra loro: l'isolamento spaziale (geografico) e l'isolamento riproduttivo s. str.

Il primo impedisce a due specie di venire fisicamente a contatto tra loro, il secondo rappresenta l'incapacità di due specie simpatriche di incrociarsi tra loro. Pertanto, con il termine di "meccansimi isolanti" ci si riferirà solo a quelle proprietà delle popolazioni simpatriche che servono a salvaguardarne il relativo isolamento riproduttivo e genetico. Essi sono proprietà biologiche individuali che impediscono la riproduzione per incrocio tra popolazioni effettivamente o potenzialmente conviventi. Questa definizione esclude evidentemente l'isolamento geografico; i meccanismi isolanti sono, infatti, proprietà biologiche della specie ed hanno sempre un fondamento genetico.

I meccansimi isolanti rientrano in due distinte categorie: quelli che impediscono gli accoppiamenti interspecifici, in particolare la formazione dello zigote (meccansimi pre-zigotici) e quelli che diminuiscono l'esito positivo di incroci interspecifici (meccanismi post-zigotici). Vi è tra i due tipi una differenza fondamentale: i primi, infatti, impediscono lo "spreco" di gameti e sono suscettibili di miglioramento per mezzo della selezione naturale, quelli post-zigotici, al contrario, non impediscono lo spreco dei gameti e comportano, pertanto, un maggior dispendio energetico da parte delle specie coivolte.


I meccanismi pre-zigotici comprendono:

1. isolamento temporale/stagionale
2. isolamento dell'habitat o ecologico
3. isolamento ecologico
4. isolamento meccanico/anatomico
5. isolamento gametico


I meccanismi post-zigotici comprendono:

1. mortalità zigotica
2. non vitalità degli ibridi
3. sterilità degli ibridi.

L'isolamento temporale si riscontra frequentemente tra gli insetti ed altri invertebrati; esso è ricollegabile al fatto che due potenziali partners in condizione di potersi riprodurre per incrocio non si incontrano a causa di differenze nelle rispettive stagioni riproduttive. Le barriere stagionali sembrano essere particolarmente efficaci negli organismi acquatici; ciò sembra dovuto probabilmente a due ordini di fattori: le temperature dell'acqua sono mediamente più stabili di quelle dell'aria e lo sviluppo dell'embrione viene meglio armonizzato a temperature ben definite. La combinazione dei due fattori permette una precisa regolazione della stagione riproduttiva.

Ad esempio, il tempo della deposizione delle uova nei pesci, soprattutto in quelli di acqua dolce, viene regolato dalla temperatura e le stagioni di deposizione di specie affini possono essere effettivamente separate nel tempo a seguito, appunto, del loro adattamento a diverse temperature di deposizione delle uova. Un caso specifico di isolamento riproduttivo di tipo temporale esiste, ad esempio, in coppie di specie affini di cicale: in ciascuna coppia una specie appare ogni 13 anni, l'altra ogni 17 anni, in modo tale che le due specie hanno l'opportunità di incontrarsi e fecondarsi una sola volta ogni 13x17= 221 anni !

Esempi di questo tipo di meccansimi isolanti si riscontrano anche molto frequentemente anche nel regno vegetale. Si può citare il caso di tre specie di orchidee tropicali del genere Dendrobium, i cui fiori si aprono all'alba e si avvizziscono al sopraggiungere della notte, sicchè la fecondazione può avvenire solo in un periodo di tempo inferiore ad un giorno solare. La fioritura viene provocata da uno stimolo metereologico quale, ad esempio, una improvvisa tempesta o una giornata particolarmente afosa: lo stesso stimolo agisce sulle tre specie, ma l'intervallo di tempo che passa tra la stimolazione e la relativa fioritura è di 8 giorni in una specie, di 9 e di 10 nelle altre due. In tal modo una fecondazione tra le tre specie risulta praticamente impossibile.

Anche l'isolamento provocato dall'habitat può rappresentare una barriera molto efficace in alcuni casi. Un tipico esempio di questo tipo di meccansimo isolante è quello che si riferisce a due specie affini di Bufo che interagiscono con habitat diversi; il Bufo fowleri utilizza, infatti, stagni, paludi e grandi pozze d'acqua piovana come luogo preferenziale per riprodursi e non si riproduce, al contrario, in fosse poco profonde e nelle pozze di rigagnoli che sono, invece, in larga misura utilizzate dall'altra specie, B. americanus.

Un altro esempio molto significativo ci viene offerto dalle zanzare del gruppo "Anopheles maculipennis", responsabili della trasmissione della malaria. In queste specie vi è una netta separazione dell'habitat, che contribuisce al loro isolamento riproduttivo: alcune specie (A. atrioparvus, A.labranchiae) vivono, infatti, in acque salmastre o debolmente oligoaline, altre (A. melanoon, A. messeae) vivono, al contrario, in acque completamente dolci.

Meccanismi dello stesso tipo intervengono anche nei vegetali, in quanto alcune piante, come è noto, possono svilupparsi solamente in certi tipi di suolo, alcune in terreni molto umidi, altre in terreni completamente asciutti, e cosi via.

Le barriere etologiche rappresentano certamente uno dei più validi ed importanti meccanismi isolanti pre-zigotici nel regno animale. Essi si basano sulla produzione e ricezione di stimoli particolari da parte dei partners sessuali in occasione del corteggiamento: infatti, i maschi di molte specie presentano particolari e specifici metodi di corteggiamento, ostentando quelli che nel complesso solo le femmine della loro stessa specie possono recepire.

Si conoscono molti tipi diversi di stimoli: visivi, quali quelli emessi dai maschi delle lucciole che differiscono per intervallo di emissione o per l'intensità della luce prodotta; auditivi, cioè canti, richiami e suoni tipicamete caratteristici di ogni singola specie (insetti ed uccelli); chimici, molto frequenti nei mammiferi, negli insetti ed in molti organismi acquatici. Sono state, inoltre, identificate sostanze specifiche, note come "feromoni" le quali giocano un ruolo determinante nel riconoscimento specifico di molti animali, in particolare degli insetti e dei mammiferi.

L'isolamento meccanico/anatomico costituisce solo in parte una barriera pre-zigotica in quanto esso comporta l'accoppiamento anche se poi impedisce o limita il trasferimento degli spermatozoi grazie a specifiche differenze anatomiche dei rispettivi genitali. Differenze nella forma e nelle dimensioni relative dei genitali possono rendere impossibile, o molto difficoltosa, la copulazione in molti animali; allo stesso modo differenze morfologiche del fiore possono ostacolare o impedire l'impollinatura in molte piante. Ad esempio, due specie di salvia, S. mellifera e S. apiana si mantengono isolate riproduttivamente per la specifica morfologia dei loro fiori: infatti, la prima possiede un tipico fiore con due prolungamenti e sul superiore sono situati gli stami; la seconda presenta, invece, un solo prolungamento sul quale si localizzano lunghissimi stami. Le api impollinatrici di queste due specie sono in grado di riconoscere perfettamente i loro fiori e ne impollinano ciascuna un solo tipo.

L'isolamento gametico riveste una particolare importanza essenzialmente negli organismi acquatici in cui si ha fecondazione esterna. In questi casi si instaurano dei meccansimi che impediscono o riducono fortemente l'attrazione tra gameti che non siano conspecifici. Ad esempio, in molti ricci di mare specie diverse emettono gameti nello stesso periodo di tempo, ma la fecondazione risulta sempre omogametica, avviene, cioè, sempre tra uova e spermatozoi appartenenti alla stessa specie. Allo stesso modo si possono realizzare barriere di questo tipo anche in organismi a fecondazione interna nei quali gli spermatozoi possono incontrare reazioni antigeniche nei dotti genitali femminili, venendo così inattivati prima di avere qualche possibilità di raggiungere l'uovo. Le barriere pre-zigotiche sono, nella maggior parte dei casi, molto efficaci, impedendo quasi sempre gli incroci interspecifici. Se, tuttavia, questa serie di barriere dovesse fallire, interviene un secondo sistema che impedisce la riuscita di una eventuale ibridazione: i potenziali partners sessuali portano a compimento la copula ma, o nessuna prole viene generata oppure la prole eventualmente prodotta presenta vitalità e fertilità molto ridotte o nulle.

Il primo di questi meccanismi isolanti ad instaurarsi è quello cosidetto della "mortalità zigotica", che si realizza allorquando l'uovo viene fecondato ma lo zigote che ne deriva non inizia uno sviluppo regolare e, pertanto, abortisce precocemente. In altri casi lo zigote riesce ad intraprendere lo sviluppo, ma questo può interrompersi a diversi livelli.

Per esempio si conoscono casi di fecondazione tra pecore e capre, ma gli embrioni ibridi muoiono precocemente nei primi stadi dello sviluppo; al contrario sono noti casi di ibridazione tra rane del gruppo "Rana pipiens" nelle quali lo sviluppo può arrestarsi in uno stadio anche molto avanzato. In altri casi lo zigote può produrre un ibrido di ridotta vitalità, oppure lo zigote risulta pienamente vitale ma parzialmente o completamente sterile (sterilità dell'ibrido).

La molteplicità dei meccansimi isolanti comporta il coinvolgimento di un notevole numero di geni; i meccansimi isolanti presentano un'alta specificità ed ogni specie costituisce un sistema genetico delicatamente integrato, selezionato attraverso molte generazioni per adattarsi ad una ben determinata nicchia ecologica. L'ibridazione comporterebbe una rottura di un tale sistema ed avrebbe come conseguenza la produzione di tipi disarmonici. E' compito, appunto, dei meccansimi isolanti di impedire tale rottura e di proteggere l'integrità del sistema genetico di ciascuna specie.


ROTTURA DEI MECCANISMI ISOLANTI
L'IBRIDAZIONE INTROGRESSIVA

In numerosi gruppi animali può aver luogo una occasionale "rottura" dei meccansimi isolanti, con conseguente possibilità di incrocio tra individui differenti l' uno dall' altro dal punto di vista genetico e sistematico. Una tale possibilità si definisce "ibridazione" e consiste nell'incrocio di individui appartenenti a popolazioni naturali diverse venute secondariamente a contatto tra loro.

Per indicare, invece, l'incorporazione di geni di una specie nel complesso genico di un'altra specie, come risultato di una ibridazione riuscita, si usa il termine di "ibridazione introgressiva" o "introgressione genica" in opposizione al termine "scambio genico" (o flusso genico).

Gli ibridi differiscono dagli individui della specie parentale non solo nella diversa morfologia, ma di solito anche nella fertilità e nella vitalità; la sterilità dell'ibrido si contrappone, comunque, ad una sua spiccata rigogliosità fenotipica (fenomeno del lussureggiamento dell'ibrido).

Vi possono essere, ancora, ibridi completamente fertili che non riescono a riprodursi a causa delle difficoltà di adattamento alle nicchie ecologiche preesistenti, del minor successo che essi hanno nel corteggiamento, soprattutto in quelle specie in cui modelli comportamentali ben definiti giocano un ruolo determinante nell'accoppiamento. L'inferiorità ecologica ed etologica riduce, quindi, le probabilità che ha un ibrido di lasciare prole.

Vi è, inoltre, da considerare che gli ibridi della prima generazione sono generalmente intermedi tra le specie parentali e tendono ad essere uniformi in molti caratteri, mentre gli individui della seconda generazione, quando vengono generati, mostrano in generale una accresciuta variabilità e, a volte, una totale incompatibilità genetica con le specie parentali può determinare disturbi fisiologici gravi, in molti casi anche letali.

Un discorso a parte meritano le specie ibridizzate in laboratorio: la produzione di tali ibridi ha portato spesso a conclusioni errate, tipo quella di assumere la possibilità di una ibridazione riuscita come indice di conspecificità. E' necessario, invece, sottolineare come tra gli animali la sterilità degli ibridi rappresenti soltanto uno dei molteplici meccansimi isolanti e che altri sono in realtà più importanti per mantenere la distinzione tra specie e specie.

La maggior parte degli ibridi risultano sterili in natura soprattutto perchè le differenze, talora marcate, nella forma e nel numero dei cromosomi ne impediscono un perfetto appaiamento durante la meiosi. D'altro canto nelle piante il passaggio dalla riproduzione gametica a quella agamica è piuttosto frequente: gli ibridi possono moltiplicarsi vegetativamente (apomissi) e, come e noto, tale capacità assume un significato evolutivo molto importante nel regno vegetale.


Si possono distinguere cinque tipi di ibridazione naturale:


1. Incrocio occasionale tra specie simpatriche (A, B) con produzione di ibridi ecologicamente o etologicamente non vitali o sterili e che perciò non si reincrociano con le specie parentali.


2. Produzione occasionale o frequente di ibridi (E) più o meno fertili tra specie simpatriche (A, B), alcuni dei quali si reincrociano con una o entrambe le specie parentali.

3. Formazione di una zona secondaria di contatto e di parziale riproduzione per incrocio o tra popolazioni prima isolate, che non sono riuscite ad acquisire un completo isolamento riproduttivo durante il precedente periodo di isolamento geografico, oppure tra "isolati geografici" che ristabiliscono il contatto con le specie parentali.


4. Completa "rottura" dell'isolamento riproduttivo tra due specie simpatriche, che ha come risultato la produzione di "sciami ibridi" che possono talvolta includere l'intero range di variabilità delle specie parentali.

5. Produzione di una nuova entità specifica come risultato dell'ibridazione e del successivo raddoppio dei cromosomi (allopoliploidia). Quest'ultimo fenomeno è quasi esclusivo dei vegetali.


L'ibridazione comporta generalmente una zona di sovrapposizione che può essere un ecotono in cui la stessa risulta abbastanza frequente in quanto l'ibrido trova in esso particolari pressioni selettive che gli permettono la sopravvivenza. Se l'ecotono si isolasse nel tempo, l'ibrido potrebbe avere il massimo successo: si verificherebbe un fenomeno simile a quello dell' "effetto del fondatore", il cui risultato sarebbe un estremo lussureggiamento degli ibridi. Il distacco dell'ecotono, qualora avvenisse, potrebbe rappresentare un centro di speciazione molto importante. Naturalmente la zona di sovrapposizione può essere anche multipla: si parla in questo caso di "ecotono di secondo tipo" che si realizza frequentemente in natura a seguito di sovrapposizioni orizzontali e verticali.

A volte le barrire tra due specie simpatriche possono rompersi in modo così completo che le due specie parentali vengono sostituite da uno "sciame ibrido" che funziona come ponte di collegamento tra I due estremi parentali. Gli esempi più significativi si riscontrano negli uccelli, negli anfibi, nei pesci ed in alcuni invertebrati, quali i rotiferi ed i cladoceri.

Consideriamo il caso del genere Bufo tra gli anfibi: le specie B. fowleri e B. americanus si riproducono ampiamente per incrocio in molte aree delle loro zone di distribuzione geografica, quasi del tutto coincidenti. L'aspetto interessante di questo caso di ibridazione è che i rospi all'inizio della stagione degli amori (aprile) sono quasi "americanus" puri e alla fine della stagione (giugno) quasi "fowleri" puri. I campioni catturati verso maggi fanno da ponte tra le due specie, presentando caratteristiche intermedie tra quelle delle due specie in oggetto. Molti fatti dimostrano, in questo caso, che l'ibridazione è causata dalla rottura delle barriere ecologiche tra le due specie per effetto delle coltivazioni agricole; infatti, B. americanus è abitante delle zone boschive, mentre B. fowleri preferisce le praterie erbose, i campi e altre aree aperte.

Nei vari gruppi animali la frequenza di ibridi è sempre piuttosto limitata. Incroci ibridi sono stati riscontrati a volte negli uccelli, molto raramente nei rettili, piuttosto frequentemente tra gli anfibi (in particolare nel genere Bufo). Una situazione diversa è quella dei pesci i quali, potendo avere fecondazione esterna, sono più esposti alla possibilità di frequenti ibridazioni. Tra gli invertebrati sono noti esempi di ibridi tra i lepidotteri e in molte specie del genere Drosophila.

Le principali cause di "rottura" dei meccansimi isolanti in natura sono:


1. I metodi di fecondazione
2. La natura del vincolo copulativo
3. La rarità delle specie parentali
4. La perturbazione dell'habitat


Il primo fattore gioca un ruolo determinante soprattutto nella formazione di ibridi in animali acquatici con fecondazione esterna. Ad esempio, le uova e gli spermatozoi di molti pesci vengono liberati direttamente nell'acqua e, nel caso vi sia mescolanza di specie diverse, le uova di una potrebbero facilmente essere fecondate dagli spermatozoi di altre; in questi gruppi, tuttavia, generalmente esistono ulteriori barriere, quali un complesso corteggiamento, la dipendenza da temperature specifiche, barriere di sterilità, etc., che in vario modo possono ridurre il rischio di ibridazione.

Nelle specie a fecondazione interna risulta, invece, fondamentale la natura del vincolo copulativo, cioè il periodo di "fidanzamento" più o meno lungo prima che si abbia la copula.

Nei gruppi in cui, al contrario, non si ha la formazione di coppie fisse si può osservare un enorme sviluppo di caratteri sessuali secondari, soprattutto nei maschi, in modo tale che solo quei maschi che posseggono piumaggi particolari, o mettono in opera un elaborato corteggiamento, hanno una buona probabilità di generare un elevato numero di discendenti ed un minor numero di ibridi.

La rarità della specie parentale interviene, quale causa di di rottura dei meccansimi isolanti, per quegli individui che vivono ai margini dell'areale di distribuzione della specie di appartenenza; tali individui, infatti, in assenza di stimoli adeguati, provenienti cioè da individui conspecifici, possono rispondere a stimoli falsi, inadeguati, provenienti da individui appartenenti a specie diverse. Comunque, la causa di ibridazione più frequente negli organismi animali è la rottura delle barriere dell'habitat, dovuta in molti casi all'interferenza dell'uomo (coltivazioni agricole, disboscamento, etc.). Non tutte le perturbazioni dell'habitat sono, tuttavia, imputabili all'uomo, alcune, infatti, sono direttamente legate a processi storici o a mutamentio ambientali periodici, quali, ad esempio, l'essicamento dei deserti, le glaciazioni, etc.

Secondo alcuni autori, l'ibridazione avrebbe svolto una importante funzione evolutiva ed avrebbe giocato un ruolo determinante in molti casi di speciazione. Tale ipotesi si fonda essenzialmente sul fatto che l'ibridazione comporta variabilità e che le specie debbono molto della loro variazione genetica appunto all'ibridazione introgressiva.

Tuttavia, il peso complessivo delle prove di cui attualmente si dispone inficia l'ipotesi che l'ibridazione abbia svolto e possa effettivamente svolgere un ruolo di primo piano nell'evoluzione degli animali superiori. Infatti, gli ibridi sono rarissimi tra gli animali, ad eccezione che in alcuni gruppi a fecondazione esterna; la maggior parte degli ibridi., anche quando risulti dotata del particolare "vigore dell'ibrido", risulta completamente sterile; gli ibridi che producono gameti normali in uno o in entrambi i sessi sono, nella maggior parte dei casi, incapaci a loro volta di generare e non partecipano alla fecondazione; quando gli ibridi si reincrociano con le specie parentali normalmente producono fenotipi di vitalità ridotta, i quali possono venire facilmente eliminati dalla selezione naturale.

In definitiva si può a giusta ragione affermare che l'ibridazione è un fenomeno piuttosto raro nel regno animale e che, pertanto, il ruolo che tale fenomeno può aver avuto nei processi di speciazione, e nell'evoluzione animale in generale, deve essere stato necessariamente trascurabile.




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